Veranda, sopra l’ultimo piano di un edificio condominiale, una sopraelevazione?
Nozione di sopraelevazione. La disposizione dell’art. 1127, comma 1, c.c. prevede che “Il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare”.
È necessario, pertanto, capire cosa si intenda per sopraelevazione.
La giurisprudenza in sede civile ritiene che costituisca “sopraelevazione, soltanto l’intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato condominiale, mediante occupazione della colonna d’aria soprastante”(Cass. civ., sez. II, sent. del 07settembre 2009, n. 19281, Cass. Civ., sez. 2, Sentenza n. 5039 del 28 febbraio 2013).
In sede amministrativa, inoltre, viene definita come “qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato” (T.A.R. Liguria, sez. I, sentenza 19 dicembre 2006 n. 1711; T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 27 gennaio 2006, n. 565) e che “ai fini dell’individuazione della tipologia di un intervento edilizio, il concetto di sopraelevazione si differenzia da quello di mero innalzamento, dovendosi considerare che quest’ultimo, specie se modesto ed inidoneo a determinare un incremento volumetrico, può risultare compatibile con la nozione di ristrutturazione, mentre non altrettanto può affermarsi nel caso di una sopraelevazione che sia inscindibilmente connessa all’incremento volumetrico in ragione di un rapporto di causa ed effetto e che sia quindi diretta all’accrescimento della cubatura di un fabbricato” (T.A.R. Liguria, sez. I, sentenza 19 dicembre 2006, n. 1711; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2003, n. 1603).
La veranda rientra in tali nozioni? Da quanto precede emerge come sia riconducibile a tali nozioni anche la costruzione di una “veranda”, ossia di quel “nuovo locale autonomamente utilizzabile (ch)e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile” (Cass. pen., sez. III , sent. del 07 aprile 2008 n. 14329) Per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, tali opere “ampliano il fabbricato al di fuori della sagoma esistente, che è costituita dalla conformazione planovolumetrica della costruzione e dal suo perimetro, inteso sia in senso verticale che orizzontale, ed incidono in tal modo sui parametri previsti dagli strumenti urbanistici” (Cass. pen. sez. III, sent. del 25 novembre 2004 n. 45588).
Pertanto, “l’attività di trasformazione di balconi, terrazze o altre parti di un preesistente edificio in verande, mediante telai o altri strumenti tecnici idonei ad intercludere stabilmente uno spazio libero, non costituisce realizzazione di una pertinenza” (Cass. sez. III, Sentenza n. 3160 del 23 gennaio 2003) “ma diventa parte dell’edificio perché, una volta realizzat(a), ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinat(a) in quanto priv(a) di autonomia rispetto all’edificio medesimo” (Cass. pen., sez. III, sent. del 28 maggio 2010 n. 20349).
Si osserva, inoltre, che “occorre infatti distinguere il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 11 febbraio 2005, n. 365).
La realizzazione di una veranda, quindi, deve sempre rispettare la normativa “codicistica”, “urbanistica” ed “edilistica” relativa alle sopraelevazioni, indipendentemente dalla proprietà esclusiva della terrazza., poiché, come sottolineato, “in materia edilizia una veranda è da considerarsi in senso tecnico giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile” (Cass. pen., sez. III, sent. 4 novembre 2009 n. 42318)
Conseguenze. In quanto sopraelevazione la veranda è soggetta al rispetto del limiti delle “distanze legali tra costruzioni [poiché] determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione. Ad essa, pertanto, è applicabile la normativa vigente al momento della modifica e non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione” (Cass. civ., sez. II, Sentenza n. 74 del 03/01/2011).
Inoltre, per espresso dettato normativo “Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante” (ex art. 1127, comma 3, c.c.). Al riguardo si rimanda all’articolo Indennità per sopraelevazione ai sensi dell’art. 1127 c.c.: quando è dovuta e come si deve calcolare?
Ai sensi dell’art. 1127, comma2, c.c., inoltre,“la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono”.
Come ha chiarito la giurisprudenza l’articolo citato ”va interpretato non nel senso che la sopraelevazione è vietata soltanto se le strutture dell’edificio non consentono di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture son tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentano di sopportare l’urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica. Pertanto, qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da considerarsi integrative dell’art. 1127, secondo comma, cod. civ., e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità della sopraelevazione che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente sull’autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico” (Cass. civ., sez. 2, sent. del 11 febbraio 2008 n. 3196).
La costruzione di una veranda non può, inoltre, pregiudicare l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuire notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti (ex art. 1127, comma 3, c.c.).
Tratto dal sito Condominio Web
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