Stalking in caso di più soggetti lesi, presupposti per la configurabilità del reato
Avv. Marco Trasacco | Qualora degli atti minacciosi ed ingiuriosi, reiterati ed abituali, siano indirizzati verso più persone, il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 -bis c.p. può configurarsi solo se nei confronti tutti i soggetti sussistano i requisiti richiesti per la ricorrenza di tale illecito penale.
Per potersi parlare di stalking di gruppo, i comportamenti dell’agente devono ingenerare in ciascuna delle vittime, un perdurante e grave stato d’ansia o di paura o un fondato timore per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto o di una persona legata affettivamente o, infine, una costrizione a modificare le proprie condizioni di vita.
Qui la sentenza per esteso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente –
Dott. MAZZITELLI Caterina – rel. Consigliere –
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.R., nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 31/01/2017 del TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MAZZITELLI
CATERINA;
lette/sentite le conclusioni del P.G. Dott. PERELLI SIMONE;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto;
il difensore presente si riporta ai motivi chiedendo l’annullamento
della ordinanza impugnata;
Il Procuratore Generale, nella persona del Sost. Proc. Gen. Dott.
PERELLI Simone, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Il difensore dell’imputata, avv. Briganti Fabrizio, ha concluso
riportandosi ai motivi e chiedendo l’annullamento della sentenza
impugnata.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza, emessa in data 31 gennaio 2017, il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello, proposto dal P.M., ed in riforma dell’ordinanza, emessa, in data 29/12/2016, dal G.I.P. presso il Tribunale di Forlì, applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari a F.R., identificata, quale autrice del reato, a seguito di attività di P.G., in relazione al delitto, ex artt. 81 cpv. e 612 bis cod. pen., perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con condotte reiterate, minacciava e molestava gli abitanti del quartiere “(OMISSIS)”, tramite l’invio, a mezzo posta, di numerose e ripetute lettere anonime, prospettanti gravi mali ingiusti ed insulti ai destinatari; per la precisione, era stato contestato alla F. di aver inviato, con cadenza settimanale, alle varie famiglie, che componevano il quartiere, talune nominativamente individuate nel capo di imputazione, centinaia di missive, dal contenuto ingiurioso e minaccioso, inserendovi elementi di conoscenza personale e dando così luogo ad un sistema di comportamenti persecutori, tali da indurre gli abitanti del quartiere a modificare le proprie abitudini di vita, alterando significativamente i rapporti all’interno della comunità ed ingenerando timori ed ansie, in una situazione di contrasto e di reciproci sospetti, fatti commessi, in (OMISSIS), dal (OMISSIS).
2. I giudici della cautela, dopo aver dato atto degli indizi di colpevolezza, desunti dal materiale probatorio e dagli esiti delle indagini investigative, evidenziavano che il G.I.P. forlivese aveva posto in dubbio la capacità di intendere e volere dell’imputata, oltre ad inquadrare i fatti di causa, nella fattispecie ex art. 660 cod. pen.; a fronte di tali asserzioni, il tribunale, conformemente a quanto sostenuto da parte appellante, riteneva, per un verso, indimostrata una pretesa incapacità di intendere e di volere della F., e, sotto altro profilo, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di stalking, tenuto conto della protrazione delle condotte, sopra esposte, per oltre un quinquennio, ricollegabile alla natura abituale del reato, e degli effetti, sugli abitanti, alcuni dei quali avevano addirittura pensato di svendere le proprie abitazioni, per allontanarsi dal quartiere. Con riferimento, poi, alle esigenze cautelari, il tribunale evidenziava un pericolo di reiterazione specifica del reato, anche in considerazione di una capacità organizzativa dell’imputata, desumibile dai fatti di causa.
3. F.R., tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, ex art. 311 cod. proc. pen., allegando: 3.1 erronea applicazione della legge, ex art. 606 c.p.p., lett. b), non assumendo il requisito della reiterazione un rilievo decisivo, in quanto compatibile anche con la diversa fattispecie, di cui all’art. 660 cod. pen.; ad avviso di parte ricorrente, sarebbe fuorviante, un’indagine psichica, compiuta in correlazione ad una semplice consapevolezza e volontarietà della condotta, prescindendosi dagli intenti sottostanti. Altrettanto errate sarebbero le ulteriori considerazioni, svolte nel provvedimento impugnato dai giudici della cautela, circa l’evento del reato, individuato in un “vulnus” della tranquillità delle persone e dell’ordine pubblico. Il reato di stalking difficilmente si coniugherebbe con una moltitudine di soggetti passivi, mentre il reato di molestia avrebbe una sfera di operatività, estesa alla tutela dell’ordine pubblico, confacente al caso in esame. 3.2 vizio di legittimità, ex art. 606 c.p.p., lett. e), per manifesta illogicità e/o carenza motivazionale, in relazione alla componente “ansiogena” e “modificativa” delle condizioni di vita individuali, tipica dell’evento del delitto, di cui all’art. 612 bis cod. pen., rimanendo del tutto indimostrati siffatti effetti, derivati dalla condotta della F., sulla popolazione del “(OMISSIS)”; non sarebbe sufficiente, a tale scopo, l’invio di missive ingiuriose o diffamatorie nè sarebbe idoneo un giudizio ex ante di siffatta portata. 3.3 vizio di legittimità, ex art. 606 c.p.p., lett. b), per violazione di legge, con riferimento agli artt. 274 e 275 c.p.p., non avendo il tribunale considerato la cessazione, intervenuta nelle more, dei comportamenti contestati ed essendo, per l’inverso, mancata la considerazione della personalità effettiva dell’imputata e della maggiore rispondenza al caso di specie di altre misure cautelari di diversa natura.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La presente fattispecie implica la risoluzione di problematiche di diritto, incentrate sostanzialmente sulla possibile prospettazione di una fattispecie criminosa, parametrata in relazione all’art. 612 bis cod. pen., con riflessi, anzichè su una sola persona, su una pluralità di individui.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in linea teorica, si tratta di una prospettazione possibile.
Ed invero, integra il delitto di atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.), la condotta di colui che compie atti molesti ai danni di più persone, costituendo per ciascuna motivo di ansia, non richiedendosi, ai fini della reiterazione della condotta prevista dalla norma incriminatrice, che gli atti molesti siano diretti necessariamente ad una sola persona, quando questi ultimi, arrecando offesa a diverse persone di genere femminile abitanti nello stesso edificio, provocano turbamento a tutte le altre. (Sez. 5, n. 20895 del 07/04/2011 – dep. 25/05/2011, A., Rv. 25046001).
Occorre, ovviamente, che siano realizzati tutti elementi, di natura oggettiva e soggettiva, tipici della fattispecie criminosa in questione, nei confronti di ciascuna delle persone offese dal reato.
Con ciò si vuole fare riferimento alla reiterazione di condotte, costituenti minaccia o molestie, etiologicamente connesse alla determinazione, nel soggettivo passivo del reato, di un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero di un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata affettivamente ovvero di una costrizione a modificare le proprie abitudini di vita.
Ovviamente, trattasi di condotte necessariamente sorrette dall’elemento soggettivo, tipico della fattispecie contestata, che, nel delitto di atti persecutori, è integrato dal dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia, con la consapevolezza dell’idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice; trattandosi di reato abituale di evento, il dolo generico, richiesto dalla norma, dev’essere unitario e indicativo di un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 – dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26041101).
Tali assunti comportano necessariamente l’individuazione precisa dei soggetti passivi del reato e la verifica delle condizioni di sussistenza del reato di stalking per ciascuno di loro.
E ciò in considerazione del fatto che, in assenza di tali presupposti, si verterebbe nel campo di operatività, così come sostenuto dalla parte ricorrente, di altre disposizioni penali, quale, per l’appunto, il reato di molestia, realizzabile anche con l’invio di missive anonime al diretto interessato o ad altri.
In quest’ottica è bene distinguere le due fattispecie, essendo il reato di molestia o disturbo alle persone, costituito dalla contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen., diretto a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità, attuato mediante l’offesa alla quiete privata, fattispecie distinta, autonoma e, in ipotesi, concorrente rispetto al reato di atti persecutori, di cui all’art. 612 bis cod. pen., stante la diversità dei beni giuridici tutelati (Sez. 1, n. 19924 del 04/04/2014 – dep. 14/05/2014, Napolitano, Rv. 26225401).
Per l’inverso, il delitto di atti persecutori è reato abituale, che differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un evento di “danno”, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015 – dep. 03/03/2015, P.C. in proc. G., Rv. 26251701), elemento del tutto assente nella prospettazione della contravvenzione, di cui all’art. 660 cod. pen..
Proprio tali differenziazioni e tali diversità confermano ulteriormente l’esigenza di una verifica, da effettuarsi su piano individuale, inerente a ciascuna delle posizioni della pluralità dei soggetti passivi del reato, dovendosi, all’evidenza, escludere una generalizzazione, indeterminata, all’indirizzo di una comunità, non meglio specificata, nelle connotazioni singolari.
2. Poste le doverose premesse di natura giuridica, nella presente fattispecie, è opportuno esaminare congiuntamente le censure, inerenti sia alla violazione di legge, riferita ad una corretta applicazione dell’art. 612 bis c.p., sia alle modalità motivazionali, indicative, nella sostanza, ad avviso dell’odierna parte ricorrente, dell’assenza, in concreto, nel contesto del provvedimento, della comprovata sussistenza degli elementi, richiesti per il perfezionamento della fattispecie criminosa di cui trattasi.
Il capo di imputazione letteralmente contempla, quale condotta incriminata, l’invio, con cadenza settimanale, di centinaia di missive, ingiuriose e minacciose, agli abitanti del quartiere ed alle loro famiglie, tra cui risultano individuate a seguito della presentazione di querele, anche nel contesto del provvedimento, quali famiglie destinatarie di missive anonime, i nuclei familiari P. (11 missive, di tenore minatorio), D. (28 missive, con diversi insulti alla moglie G.J., invalida ex L. n. 104 del 1992), Fr. (19 lettere, contenenti insulti ed espressioni di derisione nei confronti della figlia minore, affetta da sindrome di Dwon ed invalida civile ex L. n. 104 del 1992), Ga.Gi. – B.M. (12 lettere) e C. (famiglia, destinataria di missive anonime, a decorrere dal 2012, e, solo nell’ultimo periodo, di otto lettere, consegnate al momento della presentazione della querela), oltre a Br.Sa. e a Br.Pa., rispettivamente destinatarie, la prima, di una lettera, e, la seconda, di due lettere, tra cui, una missiva, intercettata dalla polizia giudiziaria, mentre l’indagata era in procinto di spedirla.
Ebbene, pur non disconoscendosi un probabile effetto indiretto, equiparabile ad un effetto tipico della “cassa di risonanza”, presumibilmente esteso a tutta la popolazione del quartiere, anche in considerazione della mancata identificazione dell’anonimo autore delle lettere, l’illecito penale non può che essere circoscritto alla sfera limitata dei soggetti, sopra indicati, individuati a seguito della presentazione delle querele, potendosi verificare, solo con riferimento a costoro, l’evento danno, in precedenza illustrato, in termini di stato di disagio e di ansia e di modificazioni delle abitudini di vita, anche rapportate alle relazioni sociali intercorrenti nell’ambito del quartiere.
Ed infatti, nel provvedimento impugnato, i giudici del merito, dopo aver dato atto della risalenza nel tempo di siffatte condotte, perduranti da oltre un quinquennio, della consistenza in una pluralità di minacce e molestie e di effetti aberranti, quali contrasti tra diversi nuclei familiari(per la precisione, le famiglie Ga. – B. e D. – G.), ingenerati dal tenore di talune missive, pongono l’accento sul carattere abituale del delitto e sull’effettività del c.d. evento danno, per escludere la diversa ipotesi, di cui all’art. 660 cod. pen., evento rapportato, in ultima analisi, alla manifestazione, da parte di taluno degli abitanti del “(OMISSIS)”, dell’intento di svendere il proprio immobile, al fine di rompere ogni legame con la situazione venutasi a creare nel corso degli anni.
Cionondimeno, in concreto, sempre nel contesto motivazionale dell’ordinanza, lo stato psichico delle vittime, paragonabile ad una vera e propria sofferenza, anche se non necessariamente di natura patologica, e correttamente distinto rispetto alla qualificazione giuridica alternativa, si sostanzia nelle indicazioni, sopra elencate, in relazione alle singole posizioni.
Orbene, se pur occorre evidenziare, per la prevalenza di tali casi, la ricorrenza del requisito, connesso ad una reiterazione delle condotte e, altresì, la ricorrenza di un’evidenziazione, talvolta implicita, di uno stato di disagio ovvero comunque di una condizione destabilizzante rispetto ad una vita serena, non è certamente sufficiente, in tal senso, una verifica generalizzata, rispetto al contesto, compiuta dai giudici della cautela, quale elemento di chiusura della motivazione.
Segnatamente, la Corte ritiene che non siano sufficienti le specifiche motivazioni, stese in relazione alle singole posizioni delle persone offese. Al riguardo, mentre nel provvedimento sono accentuate le spiegazioni, circa lo stato di disagio ed angoscia, provocati nei Fr. e nei Ga., i primi, particolarmente toccati, per le condizioni della figlia minore, e, i secondi, per i riferimenti, contenuti nelle missive, attinenti alla loro vita privata, e nella famiglia C., tormentata, a decorrere dal 20123, da siffatto fenomeno, non altrettanto approfondite sono le indicazioni, relative agli altri soggetti passivi del reato, taluni dei quali destinatari solo di una o due lettere, ancorchè pur sempre dal contenuto ingiurioso e diffamatorio.
La verifica della sussistenza dello stalking, in danno della pluralità di individui sopra citata, richiede un approfondimento ulteriore nella direzione delineata dal presente provvedimento, con particolare riferimento ad un giudizio circa la correlazione tra le condotte verificate ed una rilevante condizione psichica dei soggetti lesi.
E ciò in considerazione dell’onere precipuo del Giudice del Riesame di procedere ad una rivalutazione dei fatti – reato, in via totalmente autonoma, rispetto al provvedimento genetico.
3. Anche con riferimento alla valutazione delle esigenze cautelari, appare doveroso un ulteriore approfondimento, da parte del giudice del merito.
Le disposizioni, di cui agli artt. 274 e 275 c.p.p., dettano, per l’adozione delle misure cautelari, criteri specifici, individuabili, nel caso in esame, nell’art. 274 c.p.p., lett. c) attinenti ad un pericolo concreto di reiterazione delle condotte criminose, desunto dalle modalità dei fatti e dalla personalità dell’indagato, e nell’art. 275 cod. proc. pen., comma 1, implicante la scelta della misura cautelare, ritenuta idonea, rispetto alle connotazioni specifiche del caso concreto.
Nel caso in esame, il tribunale, sul punto, ha posto in luce il lasso di tempo di cinque anni, nel corso del quale si è protratta la condotta criminosa, la natura ossessiva di siffatti comportamenti ed un certa qual capacità organizzativa, dimostrata dalla F., nell’assumere informazioni e nell’attuarlo il suo proposito persecutorio.
Peraltro, in via logica, ad avviso della corte, occorre completare il quadro motivazionale, dovendosi tener conto, in ogni caso, in relazione all’attualità del pericolo, del lasso di tempo trascorso e della cessazione dei comportamenti, sia pure presumibilmente dovuta al procedimento in corso, ed alla possibilità dell’applicazione di misure cautelari, di diversa natura, meno restrittive, avuto riguardo alla settorialità del pericolo di reiterazione criminosa ed al rilievo, sull’indagata, quale deterrente, della pendenza del procedimento.
Si appalesa, pertanto, necessaria una rivalutazione, da parte del giudice della cautela, alla luce delle esposte considerazioni, delle esigenze cautelari.
4. Si deve, pertanto, procedere, all’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Bologna, per nuovo esame, e con contestuale divieto di diffusione delle generalità e dei dati identificativi dei soggetti interessati, in ossequio alla normativa sulla privacy.
PQM
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bologna per nuovo esame. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2018
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