Responsabile la madre che impedisce gli incontri dei figli con il padre anche con il consenso dei minori

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Avv. Marco TrasaccoIn tema di sottrazione e mantenimento all’estero di minori, la condotta della madre che impedisce gli incontri dei figli con il padre non è scriminata dal consenso espresso in tal senso dagli stessi minori. La condotta è scriminata solo se mira alla tutela da specifici rischi (Cassazione penale , sez. VI , 14/09/2020 , n. 29672).

In sintesi

Nella fattispecie, per la Cassazione, la sola scriminante del reato ex articolo 574-bis del codice penale è costituita dall’esercizio del potere-dovere di protezione della prole da parte del genitore che viola il provvedimento di affidamento del giudice.

Nel caso di specie, si trattava di una donna austriaca, che in spregio al provvedimento del giudice italiano sulla regolamentazione dell’affido condiviso, si era trasferita, con figli a seguito, nel suo Paese di origine e aveva impedito le occasioni di incontro col padre, giustificando la scelta sulla base della manifestata ritrosia dei figli agli incontri con la figura paterna.


La sentenza per esteso

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 1782/2018, la Corte di appello di Firenze, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, ha rideterminato la pena inflitta dal Tribunale di Grosseto a F.A. ex art. 81 c.p., comma 2, art. 388 c.p., comma 2, per avere impedito a N.R. di vedere i due figli minorenni nelle occasioni descritte nei capi I.a.1 e 1.4-5, 1.b. e ex art. 81 c.p., comma 2, art. 574 bis c.p., per avere sottratto i due figli minorenni così impedendo al padre l’esercizio della responsabilità genitoriale (capo II).

2. Nel ricorso presentato dal suo difensore, F. ha chiesto l’annullamento della sentenza.

2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c), art. 420 bis c.p.p., comma 2, e art. 169 c.p.p., perchè le notifiche al difensore di ufficio del decreto di citazione diretta a giudizio, pur formalmente regolari, si sono rivelate inidonee al raggiungimento dello scopo; l’assenza dell’imputata alla prima udienza del dibattimento (3/10/2014) non è stata dovuta a una opzione volontaria ma alla sua incolpevole ignoranza del decreto di citazione a giudizio comunicatole dal difensore di ufficio (pp. 4-5 del ricorso), anche perchè le indicazioni e l’invito previsti dall’art. 169 c.p.p., non contengono le garanzie previste dall’art. 6 CEDU, norma interposta ex art. 117 Cost..

Su questa base ha riproposto la questione di legittimità costituzionale, ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di appello, concernente l’art. 420 bis c.p.p., comma 2, in relazione agli artt. 2,3,11 e 117 Cost., nella parte in cui, affermando che la dichiarazione di assenza sia pronunciata quando “risulti con certezza” la “conoscenza del procedimento”, esaurisce la conoscenza del processo nella conoscenza del procedimento (p.8). Evidenzia la rilevanza della questione perchè dal suo accoglimento deriverebbe la rimessione in termini dell’imputata con conseguente possibilità di accedere ai riti alternativi o di indicare testimoni (pp. 9-13).

2.2. Con il secondo motivo, ha denunciato la violazione dell’art. 420 bis c.p.p., comma 4, per avere il Tribunale di Grosseto errato nell’interpretare la disposizione perchè, concernendo una rimessione in termini, la conoscenza del processo non può che intervenire in una fase successiva rispetto all’inizio dello stesso (p. 13) e l’interpretazione dell’art. 420 bis c.p.p., comma 4, non può risolversi in una erronea sovrapposizione fra conoscenza del procedimento e conoscenza del processo. (p.159).

2.3. Con il terzo motivo ha dedotto la erronea applicazione dell’artt. 388 e 574 bis c.p., per avere trascurato che il consenso dei figli minorenni alla condotta addebitata all’imputata è rilevante per la sussistenza dei reati ascritti, perchè hanno come persone offese anche i minorenni, e, quanto all’art. 388 c.p., perchè il genitore ha il diritto-dovere di disapplicare il provvedimento giurisdizionale se lo ritiene in contrasto con l’interesse del minorenne.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso, ha dedotto la contraddittorietà della motivazione mediante travisamento per omissione (da parte di entrambi i Giudici di merito) in relazione agli artt. 574 bis, 388,54 e 59 c.p., per avere disconosciuto la scriminante dello stato di necessità, anche solo putativo (p. 2526) con il trascurare le testimonianze (p. 19), che mostrano come il rifiuto dei figli di incontrare il padre precedette e non seguì il loro trasferimento in Austria, i documenti, prodotti dall’imputata ex art. 234 c.p.p., relativi ai provvedimenti giurisdizionali austriaci (ritenuti privi di efficacia nel nostro ordinamento e inidonei all’escludere la vigenza degli obblighi nascenti da decreti adottati dal Giudice) e la consulenza tecnica di ufficio svolta nel procedimento di modifica della regolazione dei rapporti con i figli ex art. 337 bis c.c. e ss., instaurato davanti al Tribunale di Grosseto.

2.5. Con il quinto motivo di ricorso, ha rilevato la violazione degli artt. 570,581 e 593 c.p.p., nell’accogliere l’appello del Pubblico ministero, che ha dedotto la incongruità della pena inflitta in primo grado senza però chiarire perchè la pena determinata dal Tribunale sarebbe inadeguata (pp. 26 – 27).

2.6. Con il sesto motivo di ricorso, ha dedotto la violazione dell’art. 133 c.p., per avere innalzato la pena-base senza adeguata motivazione.

2.7. Con il settimo motivo di ricorso, ha dedotto la violazione dell’art. 62 bis c.p., per avere disconosciuto le circostanze attenuanti generiche pur non avendo mai l’imputata negato alla parte civile le informazioni relative alla località in cui i figli si erano trasferiti e la possibilità di contattarli.

2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, ha evidenziato l’omessa motivazione nell’applicazione dell’art. 34 c.p., assumendo che la norma esclude un automatismo fra il diniego della sospensione condizionale della pena e la sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale e perchè è stato trascurato di considerare l’interesse del minorenne e (Corte Cost. n. 31 del 23/02/2012), tanto più che nel caso in esame le sentenze del Tribunale civile di Grosseto e della Corte di appello hanno statuito l’affido condiviso del minorenne. Su questa base, nel caso di rigetto del motivo di ricorso, è stata sollevata questione di costituzionalità dell’art. 34 c.p., comma 2, e degli artt. 388 e 574 bis c.p., per contrasto con gli artt. 2,3,10,27,30 e 117 Cost. in relazione all’art. 3 della convenzione di New York del 20/11/1989 e all’art. 24 par. 2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (pp.32-33), dovendosi considerare la legittimità della norma non solo dall’angolazione di chi subisce la pena accessoria ma anche da quella di coloro (i figli minorenni) su cui si irradiano le conseguenze delle restrizioni imposte al condannato.

3. Nelle conclusioni depositate dal difensore di N.R. è chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato.

4. Con ordinanza n. 27705/2019 emessa il 22/01/2019 nell’ambito del presente procedimento, questa Sesta sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata – in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, artt. 30 e 31, Cost. nonchè all’art. 10 Cost. in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata a resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176 – la questione relativa alla conformità a Costituzione degli artt. 34 e 574 bis c.p., nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata commessi dal genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale. Ha conseguentemente sospeso il giudizio sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, le correlate notifiche alle parti in causa, al Pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei Ministri e le comunicazioni ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Con sentenza n. 102 del 2020 emessa il 6/05/2020 (G.U. 023 del 03/06/2020) la Corte costituzionale ha così deciso: “1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., comma 3, nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anzichè la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale; 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 c.p., sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, artt. 30 e 31 Cost., nonchè all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176, dalla Corte di cassazione, sezione sesta penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., sollevata, in riferimento all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, dalla Corte di cassazione, sezione sesta penale”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo e il secondo di ricorso vanno esaminati preliminarmente, possono essere trattati unitariamente e risultano infondati.

1.1. Deve registrarsi, infatti, che la sentenza impugnata precisa (p. 4). che l’imputata ha ricevuto personalmente la raccomandata con avviso di ricevimento inviatale, come previsto dall’art. 169 c.p.p., comma 1, (“notificazioni all’imputato all’estero”), per informarla della esistenza di un procedimento nei suoi confronti, dell’autorità procedente, del titolo, della data e del luogo del reato e con l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio italiano. Poichè F. non ha, nel termine di trenta giorni previsto dalla norma dichiarato o eletto domicilio, le notificazioni sono state eseguite presso il difensore.

L’art. 169 c.p.p., dispiega i suoi effetti per tutto il processo – la sua ratio e il contenuto del suo testo non comportano che la sua portata sia circoscritta alla fase procedimentale.

Nella fattispecie l’imputata, dopo essersi disinteressata del procedimento penale in corso ha nominato un difensore di fiducia che ha partecipato al processo e ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale.

Correttamente la Corte di appello ha considerato che la volontaria rinuncia dell’imputato a presenziare al processo costituisce una sua libera scelta difensiva (Corte Cost. sent. n. 301/1994) e ha osservato che il successivo mancato attivarsi dell’imputata è manifestazione di disinteresse, che ha correttamente condotto a applicare l’art. 420 bis c.p.p., dichiarandone l’assenza e nominandole un difensore di ufficio, senza che questo violi l’art. 6 CEDU poichè la mancata previsione della notifica personale all’imputato dell’atto introduttivo del giudizio penale non renda dubbia la costituzionalità dell’art. 420 bis c.p.p., comma 2; infatti, la norma comunque richiede che risulti con certezza che – come è avvenuto nella fattispecie – l’imputato sia a conoscenza del procedimento. Nè dalla giurisprudenza della Corte EDU discende l’obbligo della notifica personale della vocatio in iudicium, ma soltanto la necessità che gli Stati membri predispongano regole alla cui stregua stabilire che l’assenza dell’imputato al processo possa ritenersi espressione di una consapevole rinuncia a parteciparvi, per cui l’individuazione degli strumenti attraverso cui consentire al giudice tale verifica resta affidata alla discrezionalità del legislatore, comportando scelte che investono la disciplina degli istituti processuali (Corte Cost. sent. n. 31/2017).

1.1. Su queste basi, condivisibilmente la Corte di appello ha ritenuto manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 420 bis c.p.p., comma 2, posta con il primo motivo di ricorso e sopra richiamata sub 2.1. e ha coerentemente osservato che mancano i presupposti per una rimessione in termini ex art. 420 bis c.p.p., comma 4, perchè l’imputata non ha provato che la sua assenza sia stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il contenuto dei dati normativi non permette di assumere che la sussistenza dei reati ascritti ex artt. 388 e 574 bis c.p., sia esclusa dalla presenza di un consenso dei figli minorenni alla condotta addebitata all’imputata.

Nel caso di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore, il motivo plausibile e giustificato che può costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, è solo quello che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, è stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla (Sez. 6, n. 7611 del 11/12/2014, dep. 2015, Rv. 262494; Sez. 6, n. 27613 del 19/06/2006, Rv. 235130; Sez. 6, n. 17691 del 09/01/2004, Rv. 228490).

3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte di appello ha considerato i documenti prodotti dalla difesa della ricorrente rilevando che questi provano al più che “la F., in totale spregio di quanto disposto dal Tribunale per i minorenni di Firenze” ha adito l’Autorità giudiziaria straniera, i cui provvedimenti non valgono a escludere la vigenza dei provvedimenti adottati dal Tribunale per i minorenni, peraltro disattesi dalla F. prima ancora che si pronunciasse l’Autorità giudiziaria austriaca. Ha rimarcato che non è stato contestato quanto dichiarato da N.R. circa le condotte con cui la F. ostacolò i suoi rapporti con i figli, mentre non è provato che questi abbiano voluto interrompere i rapporti con il padre, così mancando ogni base per la configurabilità della scriminate putativa richiamata nell’atto di appello (p. 7-8 della sentenza impugnata).

4. Il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono manifestamente infondati.

La Corte ha disconosciuto le circostanze attenuanti generiche non ravvisando elementi di valutazione favorevoli e rimarcando, per altro verso, la “intensità del dolo che ha sorretto l’azione dell’imputata, preordinata nel suo disegno criminoso, perdurante nel tempo”(pp. 8-9), così adeguatamente chiarendo la sua valutazione discrezionale circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv.248737; Sez.1, 46954 del 4/11/2004, Rv.230591).

Per le stesse ragioni la Corte ha rigettato la richiesta di riduzione della pena e, correlativamente, ha accolto la richiesta di aumento della pena avanzata dal Pubblico ministero.

Ha determinato, comunque, in misura contenuta (due anni di reclusione nell’arco edittale che va da uno a quattro) la pena-base e in proporzione a questa gli aumenti per i quattro reati-satellite (complessivi 6 mesi).

5. Per quanto riguarda l’ottavo motivo di ricorso, vale quel che segue.

5.1. Come si è anticipato, con ordinanza del 29/01/2019, depositata il 21/06/2019, la Corte di cassazione, Sezione sesta penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 574 bis c.p., in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, artt. 30 e 31 Cost., nonchè all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176, nella parte in cui, dal loro combinato disposto, impongono che alla condanna per sottrazione e trattenimento di minore all’estero commessa dal genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, non potendo il presente giudizio essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione concernente la legittimità costituzionale dell’applicazione automatica della pena accessoria costituita dalla sospensione della responsabilità genitoriale prevista dalla normativa vigente, poichè l’art. 574 bis c.p., comma 3, prevede che, nel caso in cui il delitto sia stato commesso “da un genitore in danno del figlio minore” sia automatica l’applicazione della “sospensione dalla responsabilità genitoriale” e l’art. 34 c.p., comma 2, determina automaticamente la misura della sospensione “per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta” nei casi di “delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale”.

5.2. Con la sentenza n. 102 del 2020 la Corte costituzionale ha giudicato fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., comma 3, in riferimento agli artt. 2,3,30 e 31 Cost., osservando che la pena accessoria prevista dalla norma impugnata presenta caratteri del tutto peculiari rispetto alle altre pene accessorie previste dal codice penale, dal momento che, incidendo su una relazione, colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minorenne, che di tale relazione è il co-protagonista e ciò accade de iure, e non solo de facto, nonostante che non sia ragionevole assumere che la sospensione dalla responsabilità genitoriale di chi si sia in passato reso responsabile del delitto di cui all’art. 574 bis c.p., costituisca sempre e necessariamente, come pare presupporre il legislatore, la soluzione ottimale per il minore anche perchè i fatti sussumibili nell’art. 574 bis c.p., possono presentare caratteristiche assai varie, anche in relazione alla loro concreta dimensione offensiva per l’interesse del minore.

Ha evidenziato che il problema principale determinato dalla previsione della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale come pena accessoria che segue automaticamente alla condanna per il delitto di cui all’art. 574 bis c.p., consiste nella cecità di questa conseguenza – concepita in chiave sanzionatoria dal legislatore – rispetto all’evoluzione, successiva al reato, delle relazioni tra il figlio minore e il genitore autore del reato medesimo e, quindi, valevole anche nei casi in cui il mantenimento del rapporto con il genitore autore della sottrazione o trattenimento all’estero non risulti pregiudizievole per il minorenne, e anzi corrisponda a un suo preciso interesse, che lo Stato avrebbe allora il dovere di salvaguardare, in via preminente rispetto alle stesse esigenze punitive nei confronti di chi abbia violato la legge penale.

Ha aggiunto che: a) ciò tanto più quando – come è in effetti avvenuto nel caso oggetto del giudizio a quo – le stesse autorità giudiziarie italiane competenti nei paralleli procedimenti civili concernenti la salvaguardia degli interessi del minore, successivamente alla sottrazione o al trattenimento illeciti all’estero, abbiano deciso di affidarlo – in via condivisa o addirittura esclusiva – proprio al genitore autore del reato, ritenendolo il più idoneo a farsi carico degli interessi del figlio; b) l’irragionevolezza dell’automatismo previsto dalla disposizione censurata, rispetto all’esigenza primaria di ricerca della soluzione ottimale per il minore, è vieppiù evidenziata dalla circostanza che la pena accessoria in questione è destinata a essere inesorabilmente eseguita soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza, spesso a molti anni di distanza dal fatto (mentre, prima di tale momento, l’ordinamento offre alle diverse autorità giurisdizionali che si succedono nel corso del procedimento penale – il giudice per le indagini preliminari, il tribunale in composizione monocratica, e infine la corte d’appello – un ampio margine di valutazione relativamente alla possibile adozione di un provvedimento cautelare di sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale; un provvedimento, peraltro, il cui contenuto può, ai sensi dell’art. 288 c.p.p., comma 1, essere opportunamente calibrato a seconda delle specifiche esigenze del caso concreto, potendo il giudice privare “in tutto” o anche solo “in parte” l’imputato dei poteri inerenti a tale responsabilità).

Ha concluso che l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale prevista dall’art. 574 bis c.p., comma 3, è incompatibile con tutti i parametri costituzionali sopra indicati, interpretati anche alla luce degli obblighi internazionali e del diritto dell’Unione Europea in materia di tutela di minori che vincolano l’ordinamento italiano così da imporre di sostituire l’attuale automatismo con il dovere di valutazione caso per caso, da parte dello stesso giudice penale, se l’applicazione della pena accessoria in questione costituisca in concreto la soluzione ottimale per il minore, sulla base del criterio secondo cui tale applicazione “in tanto può ritenersi giustificabile (…) in quanto essa si giustifichi proprio in funzione di tutela degli interessi del minore” (sentenza n. 7 del 2013), valutazione che non potrà che compiersi in relazione alla situazione esistente al momento della pronuncia della sentenza di condanna – e dunque tenendo conto necessariamente anche dell’evoluzione delle circostanze successive al fatto di reato.

Ha precisato che la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., comma 3, nei termini appena indicati, comporta che esso dovrà applicarsi in quanto lex specialis – attribuente al giudice il “potere” di disporre la pena accessoria in questione anzichè il “dovere” di irrogarla – nelle ipotesi di condanna per il delitto di sottrazione e trattenimento di minori all’estero; rimanendo così esclusa in queste specifiche ipotesi – limitatamente all’an della pena accessoria – l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 34 c.p., comma 2, (che non è interessata dalla presente pronuncia), la quale prevede in caso di “condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale” l’automatica applicazione di tale pena accessoria.

Ha ritenuto che resta assorbita la questione di legittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., comma 3, formulata in riferimento al principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 3 Cost. e art. 27 Cost., comma 3.

5.3. L’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla automatica applicazione della pena accessoria discende dalla decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., comma 3, nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anzichè la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale”.

5.4. Al riguardo, la Corte costituzionale ha osservato che i limiti del devolutum non consentono di affrontare l’interrogativo (sul quale ha rilevato che “ben potrà il legislatore svolgere ogni opportuna riflessione”) se il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda, quale è l’applicazione di una pena accessoria che incide sul suo diritto a mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, ferma restando comunque la necessità di assicurare un coordinamento con le autorità giurisdizionali – tribunale per i minorenni o, se del caso, tribunale ordinario civile – che siano già investite della situazione del minore, anche al fine di garantire il rispetto della previsione – sancita espressamente dall’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3 e 6 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, e ripresa in linea di principio a livello di legislazione ordinaria dagli artt. 336 bis e 337 octies c.c., – di sentire il minore che abbia un discernimento sufficiente, e di tenere in debito conto la sua opinione, in relazione a tutte le decisioni che lo riguardano.

Nella linea delle osservazioni della Corte costituzionale occorre puntualizzare che il Giudice del rinvio dovrebbe, comunque, seguire un procedimento decisionale necessariamente ispirato ai canoni sopra delineati, rilevandosi, peraltro, che già nella normativa processuale vigente esistono previsioni normative (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 32, comma 4) che conducono a un intervento interinale del giudice penale a protezione degli interessi di un minorenne.

Tuttavia, nel presente processo, la sopravvenuta maggiore età di entrambi i figli dell’imputata escludono che via sia luogo a provvedere sulla pena accessoria, per cui, limitatamente alla statuizione della pena accessoria, deve pronunciarsi un annullamento senza rinvio.

6. Gli altri motivi di ricorso, vanno invece, rigettati per quanto sopra espresso sub 1, 2, 3 e 4. nella parte “considerato in diritto”.

PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione della pena accessoria. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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L'Avv. Marco Trasacco è iscritto al Foro di Napoli Nord e nel corso degli anni, ha approntato consulenza e difesa nell'ambito di procedimenti penali inerenti a varie materie. E' un Avvocato Penalista abilitato al patrocinio avanti la Suprema Corte di Cassazione (Cassazionista).

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