Reato Edilizio: legittimazione alla costituzione di parte civile del privato confinante

reati edilizi Tempo di lettura stimato: 8 minuti
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Avv. Marco Trasacco | Il privato confinante è legittimato a costituirsi parte civile, allorquando la realizzazione dell’abuso edilizio violi non solo le norme poste a tutela del regolare assetto del territorio, ma anche le norme civilistiche, quali i limiti al diritto di proprietà in tema di distanze, volumetria ed altezza delle costruzioni, essendo solo in tal caso ipotizzabile un danno patrimoniale che dà luogo all’azione di risarcimento del medesimo.  Cass. Sez. III n. 43159 del 21 settembre 2017 (Ud 21 giu 2017) 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 08/06/2012, il Tribunale di Torino condannava Dunand Marcella Roberta e Di Noia Daniele Antonio alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di arresto ed euro ottomila di ammenda, per il reato loro imputato in concorso di cui all’art. 44 lett. b) d.P.R. 380/01, limitatamente ad alcune delle opere edilizie indicate nella originaria imputazione perché realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, ordinandone la demolizione, condannandoli altresì al risarcimento dei danni e delle spese di lite sopportate dalle parti civili costituite; disponeva invece non doversi procedere nei confronti degli imputati in relazione alle restanti opere abusive, a seguito di intervenuta sanatoria.
Con sentenza del 06/10/2015, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione del reato loro ascritto, confermando le disposizioni civili della sentenza.

2. Hanno interposto ricorso per cassazione gli imputati, per mezzo di difensore di fiducia, affidando il gravame a plurimi motivi.

3. Con un primo motivo si deduce l’erronea applicazione e inosservanza della legge penale, nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla mancata riforma del capo della sentenza concernente la responsabilità dei prevenuti.
Quanto al vizio motivazionale, sostengono i ricorrenti che la Corte di appello avrebbe confermato l’illiceità – dichiarata dal giudice di primo grado – della realizzazione di una parte delle opere originariamente contestate, e precisamente un “basso fabbricato in parte destinato a legnaia e in parte a cantina” e “locale previsto a portico”, limitandosi ad affermare apoditticamente, a fronte di un articolato atto di appello, che con tale realizzazione si sarebbe dato luogo ad una edificazione abusiva non compresa nell’originario permesso di costruire. Peraltro, i ricorrenti evidenziano che, quand’anche si dovesse ritenere insussistente il difetto di motivazione qualificando tale stringata affermazione come un implicito rigetto delle doglianze sollevate in appello, sussisterebbe comunque un evidente errore di diritto, derivante dalla non corretta interpretazione ed applicazione delle previsioni contenute nell’art. 30 della L.R. Piemonte 56/1977 e delle collegate fonti di natura amministrativa (Circolare del Presidente della Giunta regionale del Piemonte 8 maggio 1996, n. 7/LAP; Nota Tecnica Esplicativa del dicembre 1999), cui i ricorrenti annettono natura regolamentare.
Da tali disposizioni si evincerebbe, infatti, che è possibile effettuare opere edilizie nella classe di appartenenza in cui rientrano tutti gli edifici dell’area sulla quale insiste il manufatto per cui è processo, a condizione che si realizzino determinati interventi atti a scongiurare il rischio idrogeologico e che non si realizzino nuove unità abitative. Inoltre, i ricorrenti sottolineano come le stesse Note Tecniche di Attuazione di carattere geologico del Piano Regolatore Generale vigente nel comune ove insiste il manufatto prevedono la ristrutturazione edilizia senza alcuna limitazione, seppure condizionata alla adozione di cautele concomitanti con l’intervento, finalizzate a non aumentare il carico antropico: obiettivo che sarebbe stato pienamente raggiunto nella fattispecie, posto che l’intervento per il quale si lamenta il mancato proscioglimento nel merito – e cioè il “basso fabbricato destinato a legnaia e cantina” – non concretizza la realizzazione di nuove unità abitative, essendo esclusivamente finalizzato ad una più razionale fruizione degli edifici esistenti.
Anche con riferimento all’altra opera giudicata come penalmente rilevante, ossia alla “chiusura esterna del portico”, i ricorrenti lamentano la violazione delle richiamate norme e regolamenti regionali, nonché la mancanza e illogicità della motivazione.
La difesa evidenzia in particolare che una domanda di sanatoria era stata rigettata dalla amministrazione comunale competente, perché giudicata in contrasto con il disposto dell’art. 3, comma 1, lett. c) della L.R. Piemonte 9/2003 sul “recupero funzionale dei rustici” che non consentirebbe interventi di recupero in aree definite a rischio idrogeologico e idraulico, quale quella su cui insiste il fabbricato in oggetto: tale interpretazione dell’amministrazione è stimata irragionevole e non costituzionalmente orientata, nella misura in cui l’intervento, consistente nel mero posizionamento di serramenti in vetro su un lato aperto di un volume già esistente ed in nulla modificante la volumetria e la superficie complessiva, non comporterebbe alcun consumo ulteriore di suolo né alcun pregiudizio per il vincolo idrogeologico.
Ci si duole comunque del fatto che l’intervento di apposizione degli infissi sia stato interpretato – tanto dal Comune in sede di rigetto della domanda di sanatoria, quanto dalla Corte di appello nel negare il proscioglimento nel merito – come creazione di nuova volumetria: circostanza contestata dai ricorrenti, che qualificano il volume come già “acquisito”, argomentando che esso coincide con un vano preesistente (un vecchio fienile) già chiuso su tutti e quattro i lati, non rivestendo alcuna rilevanza giuridica la circostanza che due di questi lati fossero caratterizzati da varchi; di modo che l’intervento oggetto della domanda di sanatoria deve in realtà qualificarsi come mera installazione di infissi all’interno di aperture già esistenti da tempo.

4. Con un secondo motivo, si deduce comunque l’illegittimità costituzionale del menzionato art. 3 della legge regionale 9/2003, nella parte in cui – secondo l’interpretazione dapprima contestata – vieterebbe indistintamente interventi in aree soggette a vincolo idrogeologico, ricomprendendo nel divieto tanto l’intera ricostruzione di un fabbricato interamente crollato, tanto il semplice posizionamento di infissi.

5. Con un terzo motivo, si contesta il capo della sentenza relativo alle statuizioni civili, di cui si chiede l’annullamento per inammissibilità originaria degli relativi atti di costituzione. In particolare, è contestata la “legittimatio ad causam” delle parti civili, negando che possa esserci un rapporto causale immediato fra il fatto illecito contestato e il danno riconoscibile; in particolare, ricordando come nel caso dei reati edilizi la giurisprudenza abbia volta per volta ravvisato tale rapporto nella concomitante violazione, con il reato, delle norme civilistiche in materia di distanze o altezze, ovvero nella produzione di un danno derivante da una diminuzione della visuale, della panoramicità o del soleggiamento, i ricorrenti escludono in radice che possa stimarsi una situazione di tal fatta nella realizzazione di opere interne ed esterne che, nella fattispecie, non limitano in alcun modo il panorama e non aumentano il carico antropico, così da non costituire neppure potenzialmente quel danno immediato e diretto richiesto quale requisito tassativo per la costituzione dei confinanti come parti civili in processi per reati edilizi. Infine, la costituzione è denunciata come inammissibile anche per violazione dell’art. 78 cod. proc. pen. sotto il profilo della mancata esposizione delle ragioni che giustificano la domanda, non essendo sufficiente – come sarebbe accaduto nella specie – la sola indicazione dello status di “proprietario di immobile e terreni confinanti con quelli degli imputati” e la prospettazione di una mera possibilità di danno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, con eccezione del motivo riguardante la costituzione di parte civile.

2. Va escluso “in primis” qualsiasi vizio motivazionale, in quanto la Corte di appello ha dato sufficiente ragione del proprio convincimento, confrontandosi con le doglianze esposte in sede di impugnazione; d’altro parte, gli stessi ricorrenti ricavano dalla motivazione della sentenza la conferma (anche implicita) di un rigetto delle loro tesi. Per il resto, da una parte, i ricorrenti sollecitano – in particolare, quanto alla preesistenza del volume coincidente con il vano derivato dalla chiusura non autorizzata del “portico” – una rilettura delle emergenze probatorie precluse in sede di legittimità (da ultimo, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482); per altro aspetto, sempre con riferimento all’intervento consistito nella chiusura del “portico”, ne contestano vanamente la qualificazione giuridica e il relativo regime urbanistico, dimenticando di considerare quanto a più riprese affermato da questa Corte (da ultimo, Sez. 3, n. 49594 del 27/10/2015, Rv. 265370) secondo cui gli interventi consistenti nella chiusura di un porticato aperto devono considerarsi soggetti a permesso di costruire quando implicano, come nella fattispecie, la realizzazione di un vano indipendente, in quanto i porticati coperti costituiscono organismi edilizi, avuto riguardo non solo alla loro autonoma utilizzabilità, ma anche al fatto che essi realizzano un vero e proprio corpo di fabbrica, avente incidenza concreta e ben visibile sulla fisionomia dell’immobile, di cui vengono ad essere mutati il volume complessivo e l’aspetto esteriore. Più in generale, la difesa si addentra in una lunga disamina della normativa regionale e delle relative circolari allo scopo di dimostrare la praticabilità – secondo appunto tale quadro di riferimento – degli interventi residui per i quali è stata confermata la condanna ai soli fini civili: la tesi difensiva appare infondata, in quanto tesa a isolare ed esaltare alcuni, tutt’altro che univoci, passaggi di circolari (delle quali è ben lontana dall’essere assodata l’affermata natura regolamentare) secondo cui gli interventi in questione potrebbero, a determinate condizioni, considerarsi assentibili, senza tuttavia considerare il quadro normativo (nazionale e regionale) di riferimento, che invece depone per una opposta lettura, atteso l’effetto di creazione di nuova volumetria in zona a rischio idrogeologico. In ogni caso, i ricorrenti omettono di considerare che, quand’anche tali interventi possano, per mera ipotesi, considerarsi effettuabili secondo le previsioni urbanistiche (anche in rapporto al vincolo idrogeologico e idraulico), si tratta comunque di opere che necessitano di preventivo permesso a costruire e che, nella fattispecie, risultano invece essere state realizzate abusivamente, in quanto non contemplate nelle previsioni di cui al permesso di costruire n. 27/06 rilasciato dall’autorità amministrativa competente.

3. Le considerazioni che precedono rendono automaticamente irrilevante, ancor prima che manifestamente infondata (non palesandosi alcuna irragionevolezza nella scelta del legislatore regionale di escludere determinati interventi edilizi in zone considerate altamente pericolose), la dedotta questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 1, lett. c) della L.R. Piemonte 9/2003 – disposizione che non consente interventi di recupero dei rustici a scopo residenziale ove situati, come nella fattispecie, in aree definite a rischio idrogeologico e idraulico – in quanto la doglianza relativa ad una pretesa illogicità della previsione normativa riposa sull’erroneo presupposto che l’intervento relativo alla chiusura del portico non configuri la creazione di nuova volumetria. 4. Fondata è invece la doglianza relativa alla costituzione di parte civile. Come noto, premesso che la legittimazione all’azione civile nel processo penale va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell’azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è collegato all’adempimento dell’onere deduttivo e probatorio incombente sull’attore (da ultimo, Sez. 4, n. 14768 del 18/02/2016, Rv. 266899), nei procedimenti per violazioni urbanistico- edilizie, il privato confinante è legittimato a costituirsi parte civile, allorquando la realizzazione dell’abuso edilizio violi non solo le norme poste a tutela del regolare assetto del territorio, ma anche le norme civilistiche, quali i limiti al diritto di proprietà in tema di distanze, volumetria ed altezza delle costruzioni, essendo solo in tal caso ipotizzabile un danno patrimoniale che dà luogo all’azione di risarcimento del medesimo (Sez. 3, n. 10106 del 21/01/2016, Rv. 266290).
Tanto premesso, risulta allora illegittima l’ammissione come parti civili di Necco Riccardo e Garfì Cinzia – disposta dal giudice di prima istanza ed erroneamente giudicata corretta dal giudice di 5 appello investito di specifico motivo di gravame – in quanto, come efficacemente sottolineato in ricorso, l’atto di costituzione (cui questa Corte ha accesso, vertendosi in tema di vizio procedurale) difetta completamente della esposizione delle ragioni che giustificano la domanda: in particolare, a fronte della sopra ricordata necessità che nella domanda di costituzione venga prospettata l’esistenza di un danno patrimoniale, legittimante l’azione di risarcimento, derivante dalla violazione, oltre che delle norme poste a tutela del regolare assetto del territorio, anche di quelle civilistiche, quali i limiti al diritto di proprietà in tema di distanze, volumetria ed altezza delle costruzioni, l’atto di costituzione dei suindicati soggetti si limita ad un mero riferimento alla loro qualità di proprietari di “immobili e terreni confinanti con quelli degli imputati”, circostanza dalla quale deriverebbe, per effetto delle condotte ascritte agli imputati, un danno di circa 250.000 euro ipotizzato in maniera del tutto generica e senza alcun riferimento ad una “causa petendi” di natura civilistica; di modo che anche la decisione della Corte di appello di ritenere corretta l’ammissione come parti civili sancita dal primo giudice, sulla considerazione che si tratta “…dí proprietari confinanti che potrebbero avere subito un danno…” si risolve in una petizione di principio che non trova sostegno in quanto disposto dall’art. 74 e ss. cod. proc. pen. circa la legittimazione e i requisiti di forma per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale.

4. Consegue a quanto detto l’annullamento della sentenza impugnata quanto alle statuizioni civili, con dichiarazione di inammissibilità nel resto del ricorso.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili. Dichiara i ricorsi inammissibili nel resto.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2017

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