Non è reato telefonare ai carabinieri e denunciare la scomparsa della fidanzata
Avv. Marco Trasacco | La telefonata dell’imputato ai Carabinieri con cui lamenta di non essere riuscito a rintracciare la fidanzata dal giorno precedente per poi comunicare di averla ritrovata, ma che la ragazza era riuscita nuovamente a scappare, non può integrare il reato di cui all’art. 658 cod. pen. per la tipologia stessa del fatto denunciato che è tale da non poter creare allarme sociale, non essendo stato prospettato né essendo configurabile nessun rischio di danno alla persona (Cassazione penale, sez. I, 04/10/2017, n. 43815).
Sulla configurabilità del reato di procurato allarme in caso di telefonata ai Carabinieri per denunciare la scomparsa di una persona.
ARTICOLO N.658
Procurato allarme presso l’Autorità.
Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 10 euro a 516 euro.
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza di proscioglimento con cui il tribunale aveva assolto un imputato dal reato di procurato allarme (art. 658, c.p.), contestatogli per aver comunicato ai carabinieri l’inesistente scomparsa della fidanzata, la Corte di Cassazione (sentenza 3 ottobre 2018, n. 43815) – nel disattendere la tesi del pubblico ministero ricorrente secondo cui la prospettata, ma simulata, irreperibilità della fidanzata da parte dell’imputato avrebbe comportato la rappresentazione di un pericolo idoneo a procurare allarme presso le forze dell’ordine – ha invece affermato che poiché costituisce pericolo ogni situazione di probabile o imminente danno a persone o cose, quanto segnalato dall’imputato, non aveva attinenza di sorta con la prospettazione di un pericolo tale, alla stregua dell’oggetto giuridico della norma incriminatrice, da ingenerare pubblico allarme, potenzialmente idoneo a turbare l’ordine pubblico o, comunque, i servizi di vigilanza e tutela della pubblica sicurezza, intralciandone l’attività o determinando l’esplicazione di attività senza effettiva necessità.
In seguito la sentenza per esteso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente –
Dott. SARACENO Rosa Anna – rel. Consigliere –
Dott. BONI Monica – Consigliere –
Dott. APRILE Stefano – Consigliere –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO;
nel procedimento a carico di:
B.A., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/06/2015 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di
PALERMO;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROSA ANNA SARACENO;
Lette le conclusioni del P.G., Dott. Loy Maria Francesca, che ha
chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, con sentenza emessa in data 18 giugno 2015, decidendo su richiesta di applicazione della pena proposta dalle parti, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., mandava assolto B.A. dal reato di cui all’art. 658 c.p. per insussistenza del fatto.
Il B. era stato accusato di aver suscitato allarme presso i carabinieri della Stazione di (OMISSIS) per avere comunicato l’inesistente scomparsa della fidanzata, P.A..
2. Avverso tale decisione ha interposto appello, riqualificato come ricorso per cassazione, il Pubblico ministero presso il Tribunale di Palermo, lamentandone l’erroneità, in quanto la prospettata, ma simulata, irreperibilità della fidanzata da parte dell’imputato avrebbe comportato la rappresentazione di un pericolo idoneo a procurare allarme presso le forze dell’ordine.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Preliminarmente va rilevato che correttamente la Corte di appello ha qualificato l’interposto gravame come ricorso per cassazione in adesione all’orientamento espresso da Sez. 1 n. 37575 del 18.3.2014, Yordanov, Rv. 260803, secondo il quale la sentenza di proscioglimento emessa, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., all’esito dell’esame della concorde istanza delle parti di applicazione della pena, è impugnabile esclusivamente con ricorso per cassazione, l’esito del proscioglimento essendo strettamente correlato alla fisionomia tipica del rito e dovendo, pertanto, ritenersi ricompreso negli “altri casi” di inappellabilità indicati dall’art. 448 c.p.p., comma 2.
3.2 Quanto al giudizio di merito sull’accusa il G.i.p. ha evidenziato che: alle ore 17.10 del 28.10.2014 il B. aveva comunicato ai carabinieri di (OMISSIS) che la fidanzata si era resa irreperibile dalle ore 15.00 del giorno precedente, precisando di aver lasciato la ragazza in macchina per recarsi in un bar e di non averla più trovata al suo ritorno; alle ore 17.30 il B. aveva nuovamente chiamato i carabinieri, riferendo di aver trovato la fidanzata, ma che ella era “nuovamente riuscita a scappare”, dirigendosi verso la spiaggia; alle ore 17.35 i carabinieri contattavano i genitori della ragazza, apprendendo che la P. aveva regolarmente dormito a casa la notte precedente e che era rintracciabile sul suo cellulare; alle ore 20.42 l’imputato, sentito dai militari, ammetteva di aver simulato l’allontanamento della fidanzata. Tanto non integrava la contestata contravvenzione, in quanto la segnalazione del prevenuto si era sostanzialmente e all’evidenza risolta nella comunicazione -impropria per le funzioni dell’Autorità cui era stata rivolta- “di essere stato abbandonato dalla fidanzata mentre era sceso dall’autovettura per recarsi in un bar del paese”.
E tale motivazione, che il ricorrente censura rimarcando l’incontrovertibile falsità della denunciata scomparsa, circostanza che si assume essere di per sè sola sufficiente a dar ragione dello scopo perseguito dall’imputato, ossia quello di procurare allarme presso le forze dell’ordine, è al contrario plausibile in fatto e corretta in diritto, bastando qui ricordare che il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice è l’ordine pubblico, inteso come pubblica tranquillità, e che la condotta sanzionata è “il falso annuncio di disastri, infortuni o pericoli” che susciti allarme presso l’Autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio. Ora, poichè costituisce pericolo ogni situazione di probabile o imminente danno a persone o cose, la segnalazione dell’imputato, nei termini delineati dall’accusa e ritratti dalla stessa relazione di servizio in atti, non ha attinenza di sorta con la prospettazione di un pericolo tale, alla stregua dell’oggetto giuridico della norma incriminatrice, da ingenerare pubblico allarme, potenzialmente idoneo a turbare l’ordine pubblico o, comunque, i servizi di vigilanza e tutela della pubblica sicurezza, intralciandone l’attività o determinando l’esplicazione di attività senza effettiva necessità.
Deve rilevarsi per vero che la telefonata dell’imputato che ha lamentato in sostanza di non essere riuscito a rintracciare la fidanzata dal giorno precedente per poi comunicare di averla ritrovata, ma che la ragazza era riuscita nuovamente a scappare, non può integrare il reato di cui all’art. 658 c.p. per la tipologia stessa del fatto denunciato che è tale da non poter creare allarme sociale, non essendo stato prospettato nè essendo configurabile nessun rischio di danno alla persona, sicché l’adottato epilogo assolutorio risulta pienamente conforme ai parametri normativi di riferimento.
PQM
Rigetta il ricorso.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2018
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