Mantenimento: impossibilità oggettiva di provvedere e mera “incapienza” dell’obbligato

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Avv. Marco Trasacco | In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza deve costituire una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole disponibilità di introiti e l’imputato ha l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità ad adempiere all’obbligazione, senza che valga la generica allegazione di difficoltà economica (Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 10091/19; depositata il 7 marzo).

La Suprema Corte, con la pronuncia in oggetto, ha evidenziato alcuni principi di diritto in verità ben  consolidati in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare ed, in particolare, per il caso di omesso versamento degli obblighi di mantenimento.

Vengono risolte, però, incidentalmente altre questioni di diritto sostanziale e processuale che è interessante sintetizzare (seppur si tratta, come già detto, di principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità). Segnatamente:

  • ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, l’obbligo di procurare i mezzi di sussistenza ad un figlio minore sussiste indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale, essendo irrilevante la mancanza del riconoscimento giudiziale della paternità, anche ove il compimento di tale atto venga ostacolato dall’altro genitore naturale (per quanto non sia il caso in esame; Sez. 6, n. 53123 del 19/11/2014, Rv. 261667):
  • la mera “incapienza” dei redditi denunciati non vale ex se a giustificare l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, sia perché si tratta di informazioni comunque provenienti dal diretto interessato e normalmente esenti da ogni verifica, sia perché i mezzi per l’adempimento per l’obbligazione potrebbero essere tratti da forme alternative di ricchezza;
  • spetta all’obbligato di allegare la propria impossibilità ad adempiere, indicando elementi tali da consentire al giudice un’indagine in proposito;
  • la stessa effettiva indisponibilità di mezzi non gioverebbe all’interessato, poiché dovrebbe anche risultare una seria sua attivazione al fine di ottemperare ai doveri di assistenza economica verso i figli, e dunque che lo stesso interessato non sia riuscito a conseguire un reddito adeguato pur avendo usato, in proposito, ogni possibile diligenza;
  • in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno non è escluso dall’intervento di terzi, coobbligati od obbligati in via subordinata, sicché il reato si configura anche se taluno di questi si sostituisca all’inerzia del soggetto tenuto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza” (Sez. 6, n. 40823 del 21/03/2012, Rv. 254168; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, Rv. 242854);
  • la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta “in re ipsa” una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, Rv. 26187101);
  • le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità estrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

La sentenza per esteso.


Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 ottobre 2018 – 7 marzo 2019, n. 10091
Presidente Petruzzellis – Relatore Agliastro

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Roma con sentenza del 13/11/2017 confermava la sentenza del Tribunale monocratico di Roma nei confronti di D.C.A. che era stato condannato in primo grado alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa per il reato di cui all’art. 570 c.p., commi 1 e 2, n. 2, per essersi sottratto agli obblighi di assistenza familiare nei confronti del figlio minore A. , omettendo la corresponsione di Euro 900,00 mensili, facendogli così mancare i mezzi di sostentamento. La condotta si protraeva dal mese di luglio del 2009.
In data 07/11/2011 era stata accertata giudizialmente la paternità dell’imputato e si era determinata l’entità dell’obbligo di mantenimento, riconoscimento divenuto definitivo con pronuncia irrevocabile in data 26/02/2014.
La Corte di appello respingeva le argomentazioni difensive relative al mancato adempimento degli obblighi in modo incolpevole per indisponibilità di introiti sufficienti. Rilevava che non era stato evocato un vero e proprio stato di indigenza e l’imputato si era limitato in modo generico a dedurre uno stato di difficoltà economica. Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare richiede il dolo generico e non è necessario che la condotta omissiva venga posta in essere con intenzionalità.
2. Ricorre per cassazione D.C.A. per il tramite del proprio difensore di fiducia per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
1) violazione o erronea interpretazione dell’art. 129 c.p.p., in ordine alla improcedibilità del contestato reato; travisamento del fatto e contraddittorietà della motivazione in ordine alla insussistenza del reato quanto meno fino al 19/03/2014, data di deposito della sentenza dichiarativa dello status di paternità con valore di giudicato;
2) violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2, per avvenuta chiusura dell’istruttoria dibattimentale prima del suo completamento e dell’art. 603 c.p.p., comma 1, per omessa assunzione di prova nuova con riferimento all’interrogatorio dell’imputato e alla documentazione a corredo, con conseguente violazione del diritto di difesa.
3) violazione o erronea applicazione della legge penale e motivazione apparente in ordine alla ricorrenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 570 c.p..
4) violazione di legge e motivazione meramente apparente in ordine alla ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 570;
5) violazione dell’art. 192 c.p.p., e travisamento della prova con riferimento al valore probatorio riconosciuto alla dichiarazione resa dalla persona offesa.
6) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento.
2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte di appello avesse reiterato il vizio che aveva interessato la pronuncia di primo grado con riferimento all’eccezione riguardante il momento in cui è sorto l’obbligo giuridico di contribuzione in favore del figlio naturale: entrambi i giudici di merito erano stati concordi nel ritenere sussistente l’obbligo, e la correlativa violazione penale, fin dalla nascita del minore in luogo della decorrenza dal momento della pronuncia che ha accertato la paternità.
La madre del minore aveva sporto querela per la violazione degli obblighi alimentari nel periodo dal luglio 2009 a novembre 2011, quando la sentenza di primo grado del Tribunale dei Minorenni di Roma del 07/11/2011 non era passata in giudicato. La difesa ricorrente sostiene che la sentenza di accertamento della paternità naturale ha natura dichiarativa e come tale non ha efficacia esecutiva sino al suo passaggio in giudicato. Pertanto la querela e la pronuncia di primo grado non erano idonee a fondare il presupposto del reato di corresponsione degli obblighi alimentari. Conseguentemente il reato non poteva essere configurato fino al 19/03/2014.
La questione già posta e risolta con soluzione giuridicamente corretta dai giudici di merito. Invero, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, l’obbligo di procurare i mezzi di sussistenza ad un figlio minore sussiste indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale, essendo irrilevante la mancanza del riconoscimento giudiziale della paternità, anche ove il compimento di tale atto venga ostacolato dall’altro genitore naturale (per quanto non sia il caso in esame; Sez. 6, n. 53123 del 19/11/2014, Rv. 261667).
Neppure è necessario, per l’integrazione del fatto punibile, che il soggetto obbligato resti inerte a fronte di specifiche sollecitazioni o iniziative giudiziarie da parte di colui o di coloro che si assumono in via di fatto la responsabilità di assicurare la sussistenza di un minore impossidente.
A tale ultimo proposito, va ribadito che la mera “incapienza” dei redditi denunciati non vale ex se a giustificare l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, sia perché si tratta di informazioni comunque provenienti dal diretto interessato e normalmente esenti da ogni verifica, sia perché i mezzi per l’adempimento per l’obbligazione potrebbero essere tratti da forme alternative di ricchezza. D’altra parte si ammette, in giurisprudenza, che spetta all’obbligato di allegare la propria impossibilità ad adempiere, indicando elementi tali da consentire al giudice un’indagine in proposito (Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, Rv. 254515; Sez. 6, n. 5751 del 14/12/2010, Rv. 249339). La stessa effettiva indisponibilità di mezzi non gioverebbe all’interessato, poiché dovrebbe anche risultare una seria sua attivazione al fine di ottemperare ai doveri di assistenza economica verso i figli, e dunque che lo stesso interessato non sia riuscito a conseguire un reddito adeguato pur avendo usato, in proposito, ogni possibile diligenza (ad esempio, Sez. 6, Sentenza n. 11696 del 03/03/2011, Rv. 249655). Va infine confermato l’orientamento ormai costante della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno non è escluso dall’intervento di terzi, coobbligati od obbligati in via subordinata, sicché il reato si configura anche se taluno di questi si sostituisca all’inerzia del soggetto tenuto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza” (Sez. 6, n. 40823 del 21/03/2012, Rv. 254168; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, Rv. 242854). Per pacifica giurisprudenza di questa Corte, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta “in re ipsa” una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, Rv. 26187101).
Alla stregua dei principi richiamati, la pronuncia impugnata ha valutato in maniera puntuale e approfondita tutte le circostanze che erano state allegate dal ricorrente nel giudizio d’appello per comprovare che le difficoltà economiche fossero tali da non consentire l’adempimento dell’imputato ai propri obblighi di assistenza familiare.
3. Con il secondo motivo si lamenta che il giudice di primo grado abbia dichiarato chiusa l’istruttoria dibattimentale prima di aver sottoposto ad esame l’imputato. Il giudice di primo grado non aveva revocato il provvedimento ammissivo dell’esame del ricorrente. All’udienza del 29/05/2015, di cui è stata allegata parte del verbale di udienza fonoregistrato, risulta, a pagina 11, che era stata formulata generica istanza per l’audizione dell’imputato con richiesta di rinvio; risulta che il giudice ha dichiarato chiusa l’istruttoria dando lettura degli atti contenuti nel fascicolo ed invitato le parti a formulare ed illustrare le rispettive conclusioni. Risulta verbalizzato che “esaurita l’assunzione delle prove, le parti formulano ed illustrano le rispettive conclusioni”. Non è stata dunque espressa contestualmente opposizione alla ordinanza pronunciata dal giudice.
Effettivamente il Tribunale non ha motivato in ordine alla mancata assunzione dell’esame dell’imputato, decidendo di chiudere l’istruttoria ed invitando le parti a concludere, producendo una nullità generale per violazione del diritto della parte di difendersi provando, costituente parte integrante del diritto al contraddittorio. Tuttavia la nullità, non di tipo assoluto, è soggetta a sanatoria ed è in particolare sanata ove non immediatamente dedotta dalla parte presente agli effetti dell’art. 182 c.p.p., comma 2 (Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rv. 263210; Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Rv. 257891).
Non consta che la nullità fosse stata immediatamente eccepita risultando invece che la questione era stata sollevata con i motivi di appello: di cui la tardività dell’eccezione, sotto tale profilo.
4. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa motivazione in ordine alle allegazioni documentali prodotte dalla difesa poiché l’imputato aveva versato a far data dal novembre 2013 la somma di 550 Euro mensili e dall’agosto 2014, quando era divenuto esecutivo l’obbligo, una somma parziale tra 200,00 e 250,00 Euro. Il ricorrente aveva prodotto negli anni di riferimento redditi mensili indicati espressamente. Ed inoltre deduceva di dovere corrispondere un assegno di mantenimento anche ad un altro figlio, e pertanto si trovava in condizioni di assoluta indisponibilità economica ad adempiere.
È consolidato orientamento che, per escludere la responsabilità, l’impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p., deve essere assoluta e costituire una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti (Sez. 6, sentenza n. 33997 del 24/06/2015, Rv. 264667) e l’imputato ha l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi la sua impossibilità di adempiere alla obbligazione, senza che valga tal fine la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà (Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, Rv. 25242), a seguito nella specie, della nascita di un altro figlio, non essendo consentiti decidere a quale dei propri figli, nati da relazioni diverse, dare priorità nel mantenimento.
La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, incomba sull’interessato l’onere di allegare gli elementi da cui possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, dovendosi dimostrare una situazione di assoluta impossibilità oggettiva ed incolpevole di provvedere all’adempimento.
5. Con il quarto motivo si deduce la insussistenza del dolo contestato che risulterebbe provato, secondo l’assunto difensivo, soltanto sulla base delle dichiarazioni della parte civile costituita. Nel caso di specie, appare ricorrente anche l’elemento soggettivo del reato, poiché al “dato oggettivo” dell’omesso versamento, si aggiunge la componente di “essersi sottratto” al versamento dei mezzi di sussistenza, essendo perfettamente a conoscenza dell’obbligo di versamento a suo carico. Alla stregua dei principi richiamati, la pronuncia impugnata ha compiutamente argomentato, con motivazione giuridicamente corretta, completa e logicamente plausibile, sullo stato di bisogno del figlio minore, sull’assenza di dimostrazione dell’indigenza evocata dall’imputato, sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
6. Con il quinto motivo si censura che la Corte abbia acriticamente ed immotivatamente ritenuto credibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa. Le dichiarazioni della persona offesa, secondo l’assunto difensivo, non sarebbero state minimamente riscontrate.
Con riferimento alla dedotta inattendibilità della persona offesa, la censura intende operare una rivisitazione fattuale delle fonti di prova, valutate con logico giudizio da entrambe le sentenze di merito.
In materia, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità estrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Sotto altro profilo, si osserva che l’attendibilità di un testimone è una questione di fatto – risolvibile nel contesto della motivazione complessiva della sentenza – che non può rivalutarsi in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste fallacie logiche (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Rv. 250362), situazione che nella specie non si rinviene. Le considerazioni difensive non sono nemmeno in astratto idonee ad incidere sulla valutazione di attendibilità della testimonianza della persona offesa, in merito al protratto e persistente inadempimento dell’obbligo di corresponsione del mantenimento in favore del figlio minore, perché comunque la indicata persona offesa ha dato atto del versamento delle somme ad integrazione di quelle inferiori già erogate, per il periodo in cui esse sono state materialmente versate. Il motivo va dunque rigettato.
7. Con il sesto motivo si contesta il diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche poiché la motivazione era consistita nella rilevazione della insussistenza di “alcun elemento di favorevole apprezzamento”. La Corte aveva omesso di valutare lo stato di incensuratezza ed altri elementi favorevoli richiamando il solo elemento della “perdurante condotta nel tempo”. In effetti, la Corte territoriale ha denegato le circostanze attenuanti generiche richiamando la “ostinazione” della condotta dell’imputato che costituisce sintomo della capacità a delinquere ed uno dei criteri ai quali l’art. 133 c.p., e l’art. 62 bis c.p., ancorano le valutazioni del giudice (Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Rv. 257200) pervicacia che appare accresciuta in presenza di condotte reiterate nel tempo con la condotta omissiva posta in essere.
8. Il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente è tenuto a norma dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
9. Va dato atto che il difensore della parte civile non ha depositato conclusioni scritte e nota spese, spese che pertanto non possono essere liquidate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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