Maltrattamenti in famiglia, va esclusa l’aggravante per la presenza di minori se in tenerissima età
Maltrattamenti in famiglia ed aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies
di Avv. Marco Trasacco – Nei casi di maltrattamenti in famiglia è esclusa l’aggravante della presenza di minori in tenera età, in quanto quest’ultimi non sono in grado di avvertire la situazione di disagio; questa la decisione di una recente sentenza della Corte di Cassazione in un caso di violenza esercitato dal marito nei confronti della moglie, alla presenza del figlio poco più che neonato (all’epoca dei fatti, aveva soltanto un anno). In primo grado, condannato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione (CORTE DI CASSAZIONE 23 maggio 2017, n°53823, depositata il 29 novembre 2017).
L’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies
La disposizione de qua, come noto, è stata introdotta dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni nella L. 15 ottobre 2013, n. 119 , e prevede un aggravamento di pena «nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’art. 572 c.p.» laddove il fatto sia commesso «in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di una persona in stato di gravidanza».
Il legislatore ha così attribuito una specifica rilevanza giuridica alla cd. violenza assistita, consistente nel “complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza e, soprattutto, a quelli di cui è vittima la madre”. La previsione normativa si inserisce nel contesto di misure volte a fronteggiare fenomeni di emergente disagio ed allarme sociale, primo fra tutti la violenza contro minori e donne.
Con riferimento alla citata sentenza, la Suprema Corte ha evidenziato che:
l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies, presuppone che il fatto assuma maggiore gravità in ragione della sua maggiore potenzialità offensiva, connessa alla presenza di minori: ciò implica che sia idoneamente verificato che il minore, in ragione delle sue condizioni psico-fisiche o del grado di maturità, correlati alla natura del fatto, sia in condizione non tanto di recepirne la natura di reato o il disvalore etico-sociale, ma di avvertire la situazione di disagio che ne deriva.
Nel caso di specie, precisa la Corte, nonostante la presenza di un infante in tenerissima età (il minore, aveva circa un anno di vita) i Giudici di merito si sono indebitamente basati su riferimenti apodittici e astratti, non commisurati alle effettive e concrete condizioni del minore e alla specifica natura delle vicende.
In seguito, la sentenza per esteso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente –
Dott. TRONCI Andrea – Consigliere –
Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere –
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –
Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
D.M.A., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/10/2016 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. BALSAMO Antonio, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito il difensore, Avv. Emilio Battista Beretta, che si è riportato
ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/10/2016 la Corte di appello di Milano ha confermato quella del Tribunale di Milano in data 28/10/2015 con cui D.M.A. è stato riconosciuto colpevole del delitto di maltrattamenti in danno di G.G., aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, e condannato alla pena di anni due mesi sei di reclusione, oltre che a risarcire il danno cagionato alla costituita parte civile.
2. Ha proposto ricorso il D.M. tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia mancata assunzione di prova decisiva a discarico ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in relazione all’art. 495 c.p.p., comma 2, e con riguardo all’esame della figlia minore D.M.E..
Posto che al ricorrente era stato addebitato il delitto di maltrattamenti per fatti commessi anche in presenza dei figli minori e che, secondo quanto argomentato dai Giudici di merito, la prova era stata in realtà desunta dalle sole dichiarazioni della persona offesa G.G., essendosi inoltre sottolineato che la figlia minore E. avrebbe riferito le vicende alla nonna M.C., sentita come teste, il ricorrente denuncia l’illegittimità della revoca della testimonianza della minore, che era stata indicata nella lista testimoniale della difesa e che era stata originariamente ammessa, fermo restando che la minore avrebbe dovuto essere comunque escussa a conferma delle dichiarazioni de relato della nonna.
Il primo Giudice aveva all’ultima udienza revocato l’audizione della minore, reputandola superflua, senza addure alcuna specifica motivazione.
La Corte di appello, a fronte delle deduzioni esposte nell’atto di appello, aveva indebitamente dato rilievo alla consistenza dell’istruttoria dibattimentale, con l’escussione di vari testi della difesa, al fatto che la minore aveva manifestato volontà contraria ad un intervento nel processo, nonchè alla circostanza che l’audizione avrebbe comportato per lei un nuovo danno.
Secondo il ricorrente si trattava di argomenti inidonei a giustificare la revoca e la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, dovendosi anche tener conto delle modalità stabilite per l’audizione dei minori, trattandosi comunque di ragazzina di età superiore ad anni 14, ferma l’esigenza di non comprimere il diritto di difesa, come ribadito anche nella convenzione di Lanzarote, attuata in Italia con legge 172 del 2012.
Ribadisce il ricorrente il proprio diritto alla prova contraria, sussistente anche con riguardo all’audizione di minore, richiesta a discolpa, dovendo in conseguenza di ciò la Corte motivare sulla base di argomenti diversi da quelli meramente discrezionali in concreto utilizzati.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge processuale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 111 Cost., artt. 492 e 495 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3, con riguardo alla nullità dell’ordinanza del 22/10/2015 con cui il Tribunale aveva revocato l’ammissione della testimonianza di D.M.E..
L’audizione della minore era riferita fra l’altro al fatto che costei risultava secondo l’imputazione aver assistito all’episodio del (OMISSIS).
L’ordinanza immotivata con cui l’audizione, già ammessa, era stata revocata avrebbe dovuto considerarsi nulla, come da eccezione formulata con i motivi di appello.
La Corte aveva tuttavia confermato l’esclusione della testimonianza, fra l’altro aggiungendo che la minore non risultava aver assistito all’episodio di grave minaccia col coltello, risalente al (OMISSIS).
Ma non si era considerato che la testimonianza avrebbe potuto rilevare per chiarire i fatti e per confermare l’andamento dell’episodio del (OMISSIS), relativamente al quale la Corte aveva contraddetto il primo giudice.
In ogni caso l’esclusione non avrebbe potuto avvenire sulla base di valutazioni di mera opportunità.
Avrebbero dovuto richiamarsi i principi più volte affermati dalla Corte di cassazione per cui vi è il diritto delle parti di concorrere alla formazione della prova anche mediante mezzi autonomi, volti anche soltanto a migliorare la qualità della decisione e ad agevolare l’accettazione del risultato decisionale da parte dell’imputato.
Era comunque inadeguato e insufficiente il mero riferimento alla superfluità della prova.
Di qui la nullità dell’ordinanza di revoca, con la conseguenza che avrebbe dovuto dichiararsi nulla anche la sentenza di primo grado con restituzione degli atti al primo giudice.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 quinquies.
L’aggravante era stata correlata alla presenza dei due figli minori agli episodi del (OMISSIS).
Ma con riguardo al primo la stessa Corte aveva riferito che E. non aveva assistito all’episodio di grave minaccia, mentre con riguardo a M., all’epoca di anni uno, la Corte aveva rilevato che l’atteggiamento violento del genitore avrebbe potuto essere percepito anche da un bimbo di tenera età, in un periodo delicato di formazione della sua personalità.
L’aggravante presuppone peraltro un quid pluris offensivo che coinvolga anche il minore: tale maggiore offensività deve essere valutata caso per caso e trovare un serio e concreto riscontro nel minore, oltre che formare oggetto di rigorosa motivazione.
Relativamente alla minore E. la motivazione era contraddittoria avendo la Corte da un lato affermato e dall’altro negato la partecipazione della ragazzina all’episodio del (OMISSIS).
Relativamente a M. la Corte non aveva considerato la natura meramente verbale dell’episodio di maltrattamento e, in ogni caso, aveva motivato in modo apodittico in ordine alla percepibilità dell’atteggiamento contestato al ricorrente da parte dell’infante, ben potendo all’occorrenza ricorrere ad una perizia.
Con riguardo ad entrambi i minori inoltre l’assistenza alle condotte era stata intesa non con riguardo ad un nucleo minimo integrante il reato ma con riguardo a singoli episodi di per sè insufficienti rispetto alla consumazione di un reato abituale.
2.4. Con il quarto motivo deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. omessa motivazione in ordine all’elemento soggettivo e violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti.
La Corte aveva omesso di motivare in ordine alla configurabilità del coefficiente psicologico del delitto di maltrattamenti, a fronte di episodi verificatisi nel corso di due anni ma senza continuità, omettendo in particolare di dar conto della volontà persistente del ricorrente, diretta al consapevole maltrattamento della vittima.
Inoltre,la Corte aveva omesso di considerare le deduzioni difensive circa il valore attribuibile ad emergenze istruttorie di segno contrario, costituite dalle spiegazioni fornite dall’imputato in ordine al suo intento di assicurare il bene della prole e dalla prova di vacanze serene in periodo estivo e di fine-settimana trascorsi con amici in maniera spensierata.
Quanto all’elemento oggettivo era stato attribuito rilievo alle sole dichiarazioni della G., peraltro in assenza di un’adeguata analisi della sua credibilità ed attendibilità, salvo il riferimento a mere dichiarazioni de relato rese da terzi sulla base di quanto appreso dalla persona offesa, fermo restando che nessuno aveva assistito agli episodi contestati.
Quanto poi al riferimento fatto dai Giudici di merito a quanto appreso dalla nonna dalla minore E. era da rilevare che la minore non era stata escussa e che la M. aveva sostenuto di aver appreso i fatti leggendo la querela, fermo restando che a detta di lei la minore le aveva riferito che i genitori litigavano.
Ma in aggiunta alla debolezza del quadro ricostruttivo la Corte avrebbe dovuto considerare il fatto che anche in occasione di un precedente rapporto di convivenza la persona offesa si era allontanata all’improvviso con il figlio dall’abitazione, ciò che avrebbe imposto una rigorosa valutazione dell’attendibilità della donna, diversa dalle apodittiche argomentazioni sul punto spese dalla Corte, che ha ritenuto irrilevante il precedente episodio.
Inoltre la Corte avrebbe dovuto valutare il requisito dell’abitualità, non potendo essere considerati sporadici e isolati episodi, ove non si inseriscano in una unitaria condotta abituale, essendo per contro irrilevante l’irascibilità del temperamento e la mancanza di moderazione con accessi di collera, nel quadro di un rapporto connotato da litigi e incomprensioni.
2.5. Con il quinto motivo denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
La Corte aveva valorizzato i precedenti e l’assenza di elementi positivamente valutabili, ma senza confrontarsi con le deduzioni difensive in ordine sia allo scarso significato dei precedenti, peraltro remoti, sia alla configurabilità di elementi positivi, tali da fondare il riconoscimento delle attenuanti.
2.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in relazione agli artt. 76,78,82,100 e 122 c.p.p., con riguardo alla costituzione di parte civile e alla sussistenza di valida procura speciale.
All’udienza del giudizio di appello era stato segnalato che la parte civile si era costituita con atto privo della firma del difensore, mancante anche in calce alla procura rilasciata.
Il vizio avrebbe dovuto comportare l’invalidità della costituzione e si sarebbe riverberato sulla concreta operatività del difensore, che avrebbe dovuto reputarsi privo di procura, con conseguente invalidità delle richieste difensive presentate in sede di discussione in primo grado nonchè nel grado di appello, tale da comportare la rinuncia tacita alla costituzione, a prescindere dalla presenza della parte civile nel giudizio di primo grado.
Avrebbe dovuto da ciò discendere l’annullamento delle statuizioni civili.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per ragioni logico-formali deve premettersi l’esame del sesto motivo di ricorso, che concerne la validità della costituzione di parte civile e dunque influisce sull’individuazione delle parti processuali.
Il motivo è infondato.
La Corte ha correttamente rilevato che la questione inerente a vizi formali della costituzione non era stata tempestivamente dedotta in limine litis e che dunque la stesse avrebbe dovuto ritenersi preclusa.
Va invero osservato che l’esclusione della parte civile deve essere dedotta a pena di decadenza entro il termine di cui agli artt. 80 e 491 c.p.p., dopo di che il rapporto civilistico assume carattere di stabilità (Cass. Sez. 5, n. 11657 del 22/9/1997, Sorrentino, rv. 209260), essendo semmai ancora impugnabile l’ordinanza con cui la richiesta di esclusione è stata rigettata o dichiarata inammissibile (Cass. Sez. U. n. 5 del 12/5/1999, Pediconi, rv. 213858), fermo restando che la parte civile nel caso di specie ha presentato le sue conclusioni agli effetti dell’art. 523 c.p.p., mentre non ha proposto impugnazione, con riguardo alla quale si sarebbero dovuti valutare gli specifici requisiti formali (in tal senso Cass. Sez. 4, n. 1403 del 14/11/2001, dep. nel 2002, Testoni, rv. 220430).
2. Sono invece fondati, nei termini di seguito indicati, i primi due motivi, valutati congiuntamente.
2.1. Il ricorrente ha in effetti dedotto nella sostanza tre temi: la nullità dell’ordinanza con cui il primo Giudice ha immotivatamente revocato l’ammissione quale teste di D.M. E., figlia minore della coppia; la mancata ammissione di una prova decisiva; il vizio dell’ordinanza con cui la Corte di appello ha respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mediante audizione di D.M. E..
2.2. Con riguardo alla prima questione si rileva che effettivamente il Tribunale, dopo aver ammesso come teste D.M. E., indicata nella lista depositata nell’interesse dell’imputato, ha dapprima differito l’audizione della stessa e ha poi alla fine revocato l’ammissione, deducendo la sufficienza dell’istruttoria condotta, senza ulteriormente motivare in ordine al tema di prova, che avrebbe potuto essere approfondito mediante l’esame di quella teste.
Deve allora convenirsi che la revoca dell’ordinanza ammissiva di un teste della difesa, in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità generale per violazione del diritto della parte di difendersi provando, desumibile dall’art. 495 c.p.p., comma 2, e dall’art. 6, comma 3, lett. d), C.E.D.U., e costituente parte integrante del diritto al contraddittorio di cui all’art. 111 Cost., comma 2, (in tal senso Cass. Sez. 5, n. 2511 del 24/11/2016, dep. nel 2017, Mignogna, rv. 269050; Cass. Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli, rv. 257892).
Tuttavia la nullità, non di tipo assoluto, è soggetta a sanatoria ed è in particolare sanata, ove non immediatamente dedotta dalla parte presente, agli effetti dell’art. 182 c.p.p., comma 2, (Cass. Sez. 2, n. 9761 del 10/2/2015, Rizzello, rv. 263210; Cass. Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli, cit., rv. 257891).
Non consta che la nullità fosse stata immediatamente eccepita, risultando invece anche dal motivo di ricorso che la questione era stata poi sollevata con i motivi d’appello: di qui la tardività dell’eccezione sotto tale profilo.
2.3. Relativamente al secondo e al terzo aspetto, valutabili congiuntamente, deve sottolinearsi come l’assunto della mancata ammissione di una prova decisiva, implichi la previa verifica della decisività, ravvisabile allorchè la prova, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero allorchè la prova, in quanto non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass. Sez. 4, n. 6783 del 23/1/2014, Di Meglio, rv. 259323).
D’altro canto va aggiunto che, una volta illustrate in sentenza le ragioni della revoca e della prospettata superfluità della prova, la censura di mancata ammissione si risolve nella verifica della logicità e congruenza della motivazione, correlata al materiale raccolto e valutato (Cass. Sez. 3, n. 13095 del 17/1/2017, S., rv. 269331).
2.4. Sta di fatto che il ricorrente non ha concretamente prospettato che l’audizione di D.M. E. avrebbe certamente sovvertito l’esito del giudizio.
Tuttavia ha sottolineato come l’esame della teste avrebbe avuto una rilevante influenza sulla decisione, in quanto la stessa si era fondata essenzialmente sulle dichiarazioni della persona offesa, G.G., compagna dell’imputato e madre della ragazzina, essendo state per il resto acquisite solo dichiarazioni “de relato” di Mo.Pa., riguardanti la fase del primo contatto della persona offesa con la “Casa delle donne maltrattate”, e di M.C., madre della persona offesa, che aveva affermato di aver appreso i fatti solo dopo la denuncia e aveva inoltre fatto riferimento a circostanze apprese da D.M. E. e da C., figlio di primo letto della G., a fronte di testi che avevano fornito una diversa lettura della vicenda.
Ha ancora aggiunto il ricorrente che era stata contestata e ravvisata l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies, in ragione di fatti commessi alla presenza dei figli minori.
2.5. Ciò posto, pare difficile contestare la concreta influenza della deposizione di D.M.E..
Va invero rilevato come la prova sia stata ricavata essenzialmente dalla deposizione della persona offesa, confrontata con gli assunti difensivi dell’imputato e supportata da talune dichiarazioni “de relato”, peraltro riferite a conoscenze provenienti dalla stessa E. o acquisite nella fase della denuncia o addirittura dopo di essa, quando da altre testimonianze inerenti al menage non erano state tratte specifiche conferme.
Peraltro la persona offesa deve essere sottoposta a rigorosa verifica della credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca, potendo le sue dichiarazioni essere poste a fondamento della condanna, fermo restando che, quando, come nella specie, vi sia costituzione di parte civile, può essere necessario verificare altresì specifici riscontri (Cass. Sez. U. n. 41461 del 19/7/2012, Bell’arte, rv. 253214).
Quando la narrazione concerna fatti e vicende che per loro natura accadono in contesti chiusi o appartati, ben può ammettersi, quale riscontro, la verifica di confidenze fatte a terzi dalla persona offesa in tempi non sospetti (sul punto Cass. Sez. 3, n. 1818 del 3/12/2010, dep. nel 2011, L.C., rv. 249136).
Ma nel caso di specie un siffatto riscontro non è stato acquisito, in mancanza di effettive confidenze, concomitanti alle vicende o anteriori alla denuncia, salvo quelle provenienti, come rilevato, proprio da D.M.E..
D’altro canto la possibilità di valorizzare le sole dichiarazioni della persona offesa avrebbe dovuto essere comunque confrontata con la disponibilità di ulteriori elementi di prova, idonei a confermare o smentire gli assunti accusatori, tanto più considerando che non solo era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies, ma si era preso atto di quanto dichiarato dalla persona offesa in ordine al clima ingenerato tra le mura domestiche dalla condotta del ricorrente e si era fatto riferimento all’episodio del (OMISSIS), nel quale D.M. E., stando alla versione della persona offesa, aveva assistito almeno alla prima parte, cioè alla genesi dello scontro, anche se non al suo sviluppo in termini di maggiore crudezza.
Di qui l’evidente interesse del ricorrente ad ottenere l’ammissione della figlia minore quale teste e nel contempo l’oggettiva incidenza della testimonianza sulla ricostruzione del quadro, nel quale le condotte attribuite al ricorrente si inserivano, in assenza di specifiche e decisive conferme aliunde acquisite, quadro che in ragione della mancata ammissione della testimonianza finiva per indebolirsi.
Sotto tale profilo) è dunque apprezzabile la decisività della prova omessa, in quanto, attesa la struttura della motivazione, la sua mancata acquisizione comportava che l’isolata valutazione delle dichiarazioni della G., a fronte della disponibilità di una prova ulteriore, assumesse un peso inferiore e che le dichiarazioni “de relato” della M. finissero per risultare prive della conferma, che il ricorrente aveva già in limine chiesto, fermo restando che la concreta assunzione della testimonianza avrebbe potuto concretamente intaccare la trama della sentenza impugnata.
2.6. Si tratta tuttavia a questo punto di stabilire se la Corte abbia o meno motivato in modo da fornire adeguata e razionale giustificazione della mancata ammissione, con riguardo da un lato alla qualità della teste e dall’altro all’effettiva superfluità della testimonianza.
Al quesito, conformemente agli assunti del ricorrente, deve fornirsi risposta negativa.
La Corte ha invero fatto leva sulla circostanza che la ragazzina aveva già vissuto la conflittualità provocata dal D.M. nei confronti della G. e che nel procedimento aperto dinanzi al Tribunale per i Minorenni aveva segnalato di non voler giudicare i genitori se non con riferimento a come si comportavano con lei, e ha osservato che l’audizione avrebbe procurato alla predetta un nuovo danno, dovendosi immergere di nuovo nel difficile clima e dovendo prendere le parti di uno dei genitori.
Inoltre la Corte ha sottolineato che l’istruttoria era stata completa con l’audizione di ben sette testi e che D.M.E. non aveva comunque assistito all’episodio di minaccia grave con coltello del (OMISSIS).
2.7. Questo secondo profilo della motivazione è all’evidenza carente, giacchè la quantità dei testi non vale a compensare la mancata ammissione di un teste rilevante, a fronte del diritto dell’imputato all’esercizio di un’effettiva difesa.
Non si trattava infatti di assicurare l’equilibrio tra la parti e consentire all’imputato di far sentire la sua voce almeno attraverso l’ammissione di un teste (come nel caso esaminato dalla sentenza della Corte di Strasburgo, Vaturi contro Francia del 13/4/2006), ma di giungere ad una decisione che fosse frutto del necessario approfondimento delle fonti di prova disponibili, onde evitare che permanessero lacune non incolmabili, ma tuttavia rilevanti.
D’altro canto la mancata presenza della ragazzina in occasione dell’episodio culminato nell’esibizione o nell’uso del coltello non implicava la radicale irrilevanza della deposizione sulla fase iniziale dello scontro accaduto il (OMISSIS), fermo restando che l’intera vicenda si era fondata sulla creazione di un clima domestico intollerabile.
2.8. Relativamente al primo ed invero più delicato aspetto, deve convenirsi che l’audizione di un minore in un procedimento avente ad oggetto le accuse rivolte da un genitore contro l’altro determina di per sè una situazione di disagio, che peraltro può essere compensata dalle forme dell’audizione e dall’essenzialità della stessa.
Inoltre va rimarcato come eventuali intendimenti manifestati dalla teste in altra sede non potessero assumere rilievo, a meno che non fosse verificata idoneamente una situazione di rischio di serio pregiudizio derivante alla minore dal fatto di dover deporre e dall’oggetto della deposizione: sta di fatto che sul punto la Corte ha solo apoditticamente prospettato il danno, ma non ha specificamente illustrato su basi documentate e tecnicamente plausibili le ragioni per cui l’audizione avrebbe realmente comportato un pregiudizio per la salute psichica e il processo di crescita della minore, e non ha neppure chiarito quale fosse il tipo di danno paventato.
Ne discende che, a fronte della ravvisabilità di una lacuna probatoria, deve prendersi atto che la stessa avrebbe potuto essere colmata dall’audizione della minore, che è stata invece respinta dalla Corte di appello con motivazione non adeguata.
Già su tali basi si impone l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Quanto agli altri motivi, deve fin d’ora esaminarsi il terzo, mentre gli altri possono reputarsi assorbiti, in quanto riguardano la configurabilità del reato e il trattamento sanzionatorio e dunque postulano la ricostruzione della vicenda alla luce di un adeguato e definitivo quadro probatorio.
Relativamente al terzo motivo, si osserva che l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies, presuppone che il fatto assuma maggiore gravità in ragione della sua maggiore potenzialità offensiva, connessa alla presenza di minori: ciò implica che sia idoneamente verificato che il minore, in ragione delle sue condizioni psico-fisiche o del grado di maturità, correlati alla natura del fatto, sia in condizione non tanto di recepirne la natura di reato o il disvalore etico-sociale, ma di avvertire la situazione di disagio che ne deriva, mentre nel caso di specie in presenza di un infante in tenerissima età ( M. aveva circa un anno di vita) la Corte si è indebitamente basata su riferimenti apodittici e astratti, non commisurati alle effettive e concrete condizioni del minore e alla specifica natura delle vicende.
4. Per le ragioni sopra indicate la sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2017
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