Maltrattamenti in famiglia: reato abituale caratterizzato da fatti commissivi ed omissivi che comportano durevoli sofferenze fisiche e morali
Cassazione penale, sez. III, sentenza 03/04/2017 n° 16543 – Il reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili ovvero non perseguibili, idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali (nella specie, l’imputato aveva intrattenuto rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale imponendo alla moglie l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –
Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.D., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/03/2015 della Corte di appello di Lecce,
sez. dist. di Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Antonella Di
Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott.ssa Filippi Paola, che ha concluso chiedendo la
declaratoria di inammissibilità del ricorso.
udito per l’imputato l’avv. Giuseppe Campanelli, in sostituzione
dell’avv. Fabrizio Lamanna, che ha concluso riportandosi ai motivi
di ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2.3.2015, la Corte di appello di Lecce, sez. dist. di Taranto confermava la sentenza del 22.3.2013 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato C.D. responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 609 bis e septies c.p., artt. 527 e 612 cpv. c.p. (capo a), artt. 572, 81 e 610 c.p. (capo b) artt. 609 bis e 609 septies, art. 527 e art. 61 c.p., n. 2 (capo c) artt. 81 cpv e 609 bis c.p. (capo d), art. 81 cpv, 612 cpv e 610 c.p. e art. 61 c.p., n. 2 (capo e) commessi in danno della moglie Ca.An. e lo aveva condannato alla pena di anni cinque di reclusione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.D., per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico complesso motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il ricorrente deduce vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità penale, al diniego di assorbimento dei reati di minacce e di violenza privata in quello di maltrattamenti ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Argomenta che l’affermazione di responsabilità per i reati contestati sarebbe stata basata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, peraltro costituita parte civile, e su elemento di riscontro assolutamente neutro, quale una telefonata intercorsa tra l’imputato e la moglie, difettando anche un riscontro documentale della violenza sessuale; la versione dei fatti alternativa fornita dall’imputato (amarezza e reazione per la conclusione di un rapporto di matrimonio), invece, sarebbe riscontrata dalle dichiarazioni testimoniali assunte in sede di giudizio abbreviato condizionato e dal contenuto della lettera indirizzata all’imputato dalla stessa persona offesa; la piattaforma probatoria, che non consentiva di raggiungere la certezza in merito a nessuna delle due tesi alternative avrebbe dovuto condurre ad una sentenza di assoluzione in ossequio al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Il reato di maltrattamenti, poi, non era configurabile in quanto esso non poteva consistere nell’intrattenere una relazione extraconiugale, ma richiedeva una serie di atti vessatori; non risultava provata l’abitualità dei maltrattamenti ed in proposito non poteva essere dirimente la circostanza che l’amante fosse stata presente nel momento in cui i Carabinieri si recavano nell’abitazione dell’imputato per redigere la relazione di servizio a seguito della denuncia della Ca..
Il reato di atti osceni contestato, inoltre, non sussisteva in quanto il luogo in cui sarebbe avvenuto – aperta campagna – non poteva integrare il luogo pubblico o aperto al pubblico, in quanto era evidente che la scena non fosse visibili da nessun osservatore terzo.
Infine, la Corte territoriale aveva erroneamente denegato la richiesta di ritenere assorbiti i reati di minacce e violenze in quello di maltrattamenti, in quanto finalizzati alla commissione del reato di maltrattamenti, il quale presuppone proprio una serie di atti di violenza o di minaccia che portino la vittima a vivere in un regime vessatorio ed essere sottoposta a condizioni di vita umilianti.
Il ricorrente censura, poi, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in quanto esse avrebbero consentito di adeguare la pena alla condotta posta in essere dall’imputato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare, va rilevato che il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, art. 2, comma 1, lett. a), entrato in vigore il 6.2.2016, ha depenalizzato la fattispecie criminosa di cui al primo comma dell’art. 527 c.p., contestata al ricorrente, trasformandola in illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da Euro 5.000 ad Euro 30.000; conserva, invece, rilevanza penale solo l’ipotesi prevista dall’art. 527 c.p., comma 2 introdotta dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 22, e, cioè, il compimento di atti osceni all’interno e nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori.
S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al predetto reato (contestato ai capi a e c dell’imputazione) perchè non più previsto dalla legge come reato, con assorbimento del relativo motivo di ricorso.
Consegue, inoltre, ai sensi del citato D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 9 (che prevede che “nei casi previsti dall’art. 8, comma 1, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data”) la trasmissione degli atti al Prefetto di Taranto, non essendo il reato prescritto alla data del 6.2.2016.
2. La doglianza relativa alla non configurabilità del reato di maltrattamenti è infondata.
Va ricordato che il reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali (Sez. 6, n. 43221 del 25/09/2013, Rv. 257461; Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, dep. 14/03/2012, Rv. 252350; Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Rv. 201148).
Nella, specie, la Corte di appello ha adeguatamente valutato l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sia sotto il profilo della intrinseca linearità sia sotto il profilo della correttezza estrinseca, constatando come la condotta di violenza e di sopraffazione che l’imputato ha inflitto a sua moglie (intrattenere rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale imponendo alla moglie l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce) abbia trovato riscontro anche nella relazione di servizio del 11.6.2011 e nel chiaro contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l’imputato e la persona offesa.
Va ricordato, a tal proposito, che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv.253214).
Il giudice, quindi, può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr. Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014).
Va, poi, ribadito che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr., Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
La motivazione offerta dalla Corte territoriale in ordine alla attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono state poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, è congrua e priva di vizi logici e si sottrae al sindacato di legittimità.
3. E’, invece, fondata la doglianza relativa al mancato assorbimento dei reati di minaccia e di violenza privata in quello di maltrattamenti.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, infatti, il reato di maltrattamenti assorbe i reati di minacce e violenza privata che rientrano, appunto, nella materialità di detto delitto (Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012, dep. 04/04/2013, Rv. 255780; Sez. 6, n. 13898 del 28/03/2012, Rv. 252585; Sez. 5, n. 22790 del14/05/2010, Rv. 247521; Sez. 1, n. 7043 del09/11/2005, dep. 24/02/2006, Rv. 234047). Ne consegue che, nel caso di specie, tenuto conto della coincidenza temporale e del nesso finalistico dei delitti ex artt. 610 e 612 c.p. in relazione al delitto ex art. 572 c.p., i singoli episodi vessatori costituiti da minacce e violenza privata rimangono assorbiti nel reato di maltrattamenti.
4. E’, infine, infondata la censura relativo al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
Nella specie, la Corte territoriale, per negare l’invocato beneficio, ha ritenuto elemento ostativo, e decisivo ai fini della valutazione negativa della personalità dell’imputato, le modalità del fatto (caratterizzate sotto il profilo soggettivo da una particolare intensità del dolo e da un atteggiamento violento e protervo e sotto il profilo oggettivo da modalità brutali e da notevole durata nel tempo).
La motivazione è congrua e priva di vizi logici e si sottrae al sindacato di legittimità.
5. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente ai delitti di cui all’art. 527 c.p. perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, con trasmissione di copia degli atti al Prefetto di Taranto; i reati di violenza privata e minaccia vanno assorbiti nel ritenuto delitto di cui all’art. 572 c.p. ed il ricorso rigettato nel resto.
6. Ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l) può procedersi alla determinazione della pena residua, eliminando dalla pena base gli aumenti di pena specificamente indicati per i reati di cui agli artt. 527, 610 e 612 c.p. (giorni 15 per il reato di cui all’art. 612 c.p., giorni 15 per il reato di cui all’art. 527 c.p. e complessivi giorni 30 per i reati di cui all’art. 610 c.p.), nella misura di anni quattro, mesi dieci e giorni dieci di reclusione.
PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai delitti di cui all’art. 527 c.p. perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato. Dispone la trasmissione di copia degli atti al Prefetto di Taranto.
Dichiara assorbiti i reati di violenza privata e minaccia nel ritenuto delitto di cui all’art. 572 c.p..
Determina la pena residua in anni quattro, mesi dieci e giorni dieci di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2017
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