La sola consegna di un assegno non è sufficiente ai fini della estinzione del reato per condotte riparatorie
Avv. Marco Trasacco | Il nuovo art. 162 ter c.p. prevede quale causa di estinzione del reato (procedibile a querela) l’integrale riparazione dei danni cagionati alla persona offesa. La consegna di un assegno, senza la verifica della effettiva corresponsione della somma, non è idonea ad integrare la causa di estinzione (Cassazione penale sez. V 22 novembre 2017 n. 8182 ).
Il nuovo art. 162-ter c.p. prevede quale causa di estinzione del reato l’integrale riparazione dei danni cagionati alla persona offesa. L’applicabilità della norma è però condizionata all’avvenuto perfezionamento della condotta riparatoria.
In seguito il provvedimento per esteso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente –
Dott. ZAZA Carlo – rel. Consigliere –
Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
V.F., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/05/2016 del TRIBUNALE di MATERA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolto dal Consigliere Dott. Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. MIGNOLO Olga, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
udito il difensore avv. Francesco Antonio Auletta, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso e presentando ulteriore richiesta di
rinvio al Tribunale di Matera per la verifica della ricorrenza della
causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. proc.
pen. alla luce dell’avvenuto risarcimento del danno come da
documentazione che produce;
sull’ulteriore richiesta del difensore il Pubblico Ministero conclude
per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. V.F. ricorre avverso la sentenza del 17 maggio 2016 con la quale il Tribunale di Matera, confermando la sentenza del Giudice di pace di San Mauro Forte del 9 novembre 2015, riteneva il V. responsabile del reato continuato di minaccia commesso in (OMISSIS) in danno del fratello V.D..
2. Il ricorrente propone tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge sull’affermazione di responsabilità, con riguardo in primo luogo all’effettiva limitazione della libertà psichica della persona offesa, nella specie esclusa laddove la persona offesa per sua stessa ammissione continuava a recarsi presso la campagna, ove sapeva di poter incontrare l’imputato, anche successivamente alla condotta denunciata come avvenuta il (OMISSIS), e neppure desumibile, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, da un precedente colluttazione fra i due fratelli, circostanza priva di riscontri probatori. Il ricorrente lamenta poi che l’attendibilità delle dichiarazioni di V.D. e della moglie dello stesso non sia stata valutata con riferimento all’esistenza di almeno un pregresso episodio di conflitto fra l’imputato e la famiglia del denunciante.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge sulla condanna al risarcimento del danno, rilevando mancanza di prova sull’esistenza e l’entità del danno stesso.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio motivazionale sulla capacità di intendere e volere dell’imputato, ritenuta scemata ma non esclusa con la disposta perizia, della quale lamenta contraddittorietà rispetto al riconoscimento di un disturbo paranoide con spunti ideativi persecutori, rilevando altresì carenza motivazionale della sentenza impugnata sulla richiesta difensiva di espletamento di una nuova perizia, respinta con la generica affermazione della mancanza di vizi metodologici nella perizia già disposta.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo dedotto sull’affermazione di responsabilità dell’imputato è inammissibile.
La censura proposta con riguardo all’effettiva limitazione della libertà psichica della persona offesa, che il ricorrente assume essere esclusa dalla circostanza per la quale la persona offesa continuava a recarsi nel luogo ove avrebbe potuto incontrare l’imputato, è manifestamente infondata nel momento in cui essa presuppone, per la sussistenza del reato di minaccia, un’effettiva intimidazione della vittima, la cui necessità è viceversa esclusa dalla condivisibile giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016, Nino, Rv. 268289; Sez. 5, n. 644 del 06/11/2013, dep. 2014, B., Rv. 257951). Mentre è sufficiente l’intrinseca valenza intimidatoria delle espressioni contestate, motivata nella sentenza impugnata anche nel riferimento ad un precedente episodio nel quale l’imputato aveva accoltellato il fratello, con argomentazione sulla quale nessuna specifica doglianza è dedotta nel ricorso.
Il motivo si esaurisce per il resto in valutazioni di merito, non consentite in questa sede, sulla significatività della pregressa situazione conflittuale fra le parti ai fini del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni testimoniali di V.D. e della moglie, a fronte di quanto evidenziato dal Tribunale con riguardo alla linearità ed alla concordanza di tali dichiarazioni.
2. Il motivo dedotto sulla condanna al risarcimento del danno è inammissibile.
La censura di carenza motivazionale sull’esistenza e l’entità del danno è generica ove non tiene conto che il risarcimento, liquidato nella peraltro modesta misura di Euro 500, era liquidato per un danno non patrimoniale, in base ad una valutazione equitativa non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170; Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, Istituto Città Studi, Rv. 257123; Sez. 3, n. 34209 del 17/06/2010, Ortolan, Rv. 248371).
3. Il motivo dedotto sulla capacità di intendere e volere dell’imputato è inammissibile.
Il ricorrente lamenta genericamente la contraddittorietà delle conclusioni peritali, in termini di solo parziale esclusione della capacità di intendere e volere, rispetto all’accertamento di un disturbo paranoide con spunti ideativi persecutori, non precisando le ragioni per le quali una siffatta patologia psichica non sia compatibile con una capacità scemata secondo quanto rilevato dal perito. Quanto alla deduzione di mancata assunzione, quale prova decisiva, di una nuova perizia, la censura di difetto motivazionale è manifestamente infondata rispetto a quanto invece osservato nella sentenza impugnata sull’assenza di vizi metodologici nella perizia già effettuata, e ha comunque ad oggetto una prova peritale della quale la giurisprudenza di legittimità esclude la decisività in quanto avente intrinseca natura di accertamento neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito (Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Russo, Rv. 268815; Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013, Sciarra, Rv. 255152; Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Ritorto, Rv. 253707).
4. E’ altresì inammissibile la richiesta di rinvio al giudice di merito per la verifica della ricorrenza della causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen. in considerazione dell’intervenuto risarcimento del danno, formulata dal difensore del ricorrente all’odierna udienza.
E’ opportuno premettere che tale richiesta è stata legittimamente proposta in questa sede. Posto che il citato art. 162-ter è stato introdotto con la L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 1, il comma 2 di quest’ultimo articolo prevede che la nuova norma si applichi anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, ossia al 3 agosto 2017, essendo in questo caso possibile per il giudice dichiarare l’estinzione del reato in conseguenza di condotte riparatorie anche quando le stesse siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, stabilito in linea generale dal comma 1. Tale disposizione transitoria non contiene alcuna limitazione di operatività ai gradi di merito del giudizio. E’ ben vero che al successivo comma 3 compare un riferimento eccettuativo al giudizio di legittimità. Ma dalla lettura integrale del comma 3 – “L’imputato, nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, può chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato, a norma dell’art. 162-ter c.p., introdotto dal comma 1. Nella stessa udienza l’imputato, qualora dimostri di non poter adempiere, per fatto a lui non addebitabile, nel termine di sessanta giorni, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento” – in raffronto con il comma precedente, risulta evidente che l’espressione “nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimità” è riferita esclusivamente a quanto disposto dal comma 3 in ordine alla facoltà dell’imputato di chiedere la fissazione di un termine per provvedere alla condotta riparatoria; rimanendo possibile chiedere in sede di legittimità l’applicazione della causa estintiva sulla base di documentazione comprovante l’esistenza di condotte riparatorie già perfezionatesi.
Tanto premesso, dalla documentazione per l’appunto prodotta in questa sede dalla difesa non risultano sussistenti le condizioni per l’applicazione della causa estintiva.
Tale documentazione consiste in una dichiarazione della persona offesa in data 11 luglio 2016, con la quale la stessa afferma di aver ricevuto dall’imputato la somma di Euro 2.713, di cui Euro 500 a titolo di risarcimento del danno ed Euro 2.213 per spese e competenze processuali del difensore, e di non avere null’altro a pretendere “salvo buon fine del titolo di pagamento”; essendo quest’ultima espressione chiaramente riferita ad un assegno in pari data, copia del quale è allegata alla dichiarazione.
Orbene, da tale dichiarazione emerge all’evidenza come l’attestazione di congruità del risarcimento sia condizionata al buon esito dell’assegno con il quale il risarcimento veniva effettuato; risultato, questo, sul quale nessuna ulteriore documentazione è stata prodotta. La condotta riparatoria non risulta pertanto essersi allo stato perfezionata, il che, per quanto detto in precedenza, esclude la sussistenza dei presupposti per la possibilità di dichiarare in questa sede l’estinzione del reato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare equo determinare in Euro 2.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ìl ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone l’oscuramento dei dati.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2018
Lascia un commento