La responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è esclusa dall’incapacità di adempiere, ogniqualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’agente
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza è fatto penalmente sanzionato allorquando l’inadempimento degli obblighi imposti verso i figli sia frutto di una condotta di “volontaria” inottemperanza con la quale il soggetto agente intende, specificatamente, sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con sentenza di divorzio per soddisfare pretese creditorie diverse, estranee ai figli, venendo, così, meno all’obbligo di assistere con continuità i minori e gli altri soggetti tutelati.
Corte Suprema di Cassazione – Sesta Sezione Penale – sentenza del 02.12.2016 n. 51625
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte di appello di Trento, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la condanna, intervenuta in primo grado con sentenza dell’11 giugno 2013, di V.G. alla pena di mesi tre di reclusione in relazione al reato di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies perchè, in violazione dei doveri di assistenza e delle prescrizioni recate prima dalla sentenza di omologa della separazione del (OMISSIS), poi dalla successiva sentenza di divorzio del (OMISSIS), ometteva di adempiere all’obbligo di versare alla ex moglie la quota parte dell’assegno di mantenimento per i figli, S. e L., – fissata in Euro 400,00 prima ed Euro 450,00 -, più il 100% delle spese straordinarie poi ridotto al 50%, versando il solo assegno di mantenimento sino al mese di (OMISSIS), fatti accaduti in (OMISSIS) con condotta in corso.
A fondamento del giudizio di colpevolezza la sentenza impugnata ha richiamato le dichiarazioni rese dalla ex moglie del V. – M.K. – evidenziando che del resto la linea difensiva del V. non era stata orientata a negare l’inadempimento bensì ad offrirne una giustificazione, ritenuta, tuttavia, inidonea a scriminare la condotta trattandosi di professionista (avvocato) che percepiva un reddito (come documentato) e che aveva assunto impegni finanziari con un istituto di credito a riprova di una prevista disponibilità di risorse che, quindi, egli avrebbe dovuto solo meglio gestire.
2. L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione, con motivi, qui sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., con il quali denuncia:
2.1. vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dell’elemento materiale e psicologico del reato in presenza della dimostrata impossibilità dell’imputato di versare l’assegno di mantenimento all’ex coniuge, a partire dall’anno (OMISSIS). La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto sussistente una equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico ritenendo sussistente un concorso formale eterogeneo, e non di consunzione, tra il delitto previsto dall’art. 570 c.p., comma 2, e quello di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies omettendo di valutare, sul piano oggettivo, che mai erano venuti a mancare ai figli minori i mezzi di sussistenza tanto più che la ex moglie aveva chiesto, e ottenuto, l’intervento sostitutivo della Provincia per assicurare risorse ai figli, non essendosi, pertanto, mai venuto a concretizzare un inadempimento serio e sufficientemente protratto nel tempo e, sul piano soggettivo, che le specifiche circostanze allegate e, cioè, la contrazione delle proprie entrate in ragione della perdita di clienti e della persistenza della situazione debitoria contratta con la banca, in costanza di matrimonio, non denotavano una condotta di volontaria inottemperanza con la quale l’agente intendeva sottrarsi all’assolvimento degli obblighi impostigli con la separazione prima e il divorzio poi.
3. Il ricorso non merita accoglimento per la palese infondatezza dei motivi di censura non senza avere rilevato, con riguardo alla costituzione del rapporto processuale, che l’avviso dell’udienza odierna è stato regolarmente notificato all’avv. Bondi Mauro, cassazionista risultante dagli atti difensore di fiducia nel dibattimento in grado di appello, mai revocato.
4. La Corte d’Appello, in vero, ha esaminato la giustificazione addotta dall’imputato ed ha fornito una risposta esaustiva alle obiezioni sviluppate con i motivi di gravame ritenendo, sulla base della corretta interpretazione degli elementi probatori e della corretta applicazione delle regole della logica, di escludere che le difficoltà economiche allegate (la contrazione dell’attività di consulenza e la conseguente diminuzione delle entrate patrimoniali) sia stata tale da configurare una situazione di assoluta e incolpevole incapacità economica, e, pertanto, idonea ad integrare una causa di forza maggiore che aveva incolpevolmente precluso all’imputato l’assolvimento dell’obbligo al quale era tenuto in forza della sentenza di omologa della sentenza di separazione prima e di divorzio poi.
5. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi interpretativi, reiteratamente affermati da questa Corte Suprema, in ordine ai limiti temporali e fattuali dell’influenza, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare ma applicabili anche alla fattispecie in esame, della condizione di impossibilità economica dell’obbligato la quale può assumere rilievo ai fini di escludere l’antigiuridicità della condotta, soltanto se essa si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e se consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti. Pacifica è infatti l’affermazione secondo cui la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è esclusa dall’incapacità di adempiere, ogniqualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’agente, (Sez. 6, 3 marzo 2011, n. 11696, F., 249655; Sez. 5, 22 aprile 2004, n. 36450, Communara, 230239), principio che è tanto più da ribadire allorquando l’inadempimento degli obblighi imposti verso i figli sia frutto della scelta di soddisfare pretese creditorie diverse, nel caso il pagamento del mutuo, secondo le stesse allegazioni del ricorrente che, per la contrazione degli introiti economici, si è trovato nell’impossibilità di far fronte a tutti i debiti contratti. La Corte di merito si è, inoltre, soffermata sull’inadempimento serio e protratto delle obbligazioni gravanti sul V. che, secondo quanto riferito dalla ex moglie, aveva saltuariamente versato delle somme all’inizio della separazione ma poi null’altro aveva corrisposto per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire. Anche su questo punto le conclusioni della Corte risultano in linea con la formulazione letterale dell’art. 12-sexies cit. dalla quale si evince che non vi è equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico poichè la norma non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti bensì ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la sentenza di divorzio venendo, così, meno all’obbligo di assistere con continuità i figli e gli altri soggetti tutelati, condotta che deve essere sorretta, sul piano soggettivo, dal dolo, consistente nella volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità e nella consapevolezza della doverosità degli obblighi relativi e nel caso ritenuto sussistente alla stregua della serietà e protrazione nel tempo dell’inadempimento.
6. Nè rileva che l’inadempimento non abbia determinato la mancanza di mezzi di sussistenza dei figli minori, omissione che integra il più grave reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, punito con la pena congiunta della reclusione e della multa, non applicata alla fattispecie in esame, nella quale pure è evocata la violazione degli obblighi di assistenza familiari ma non anche l’avere fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori con la conseguenza che appaiono manifestamente infondati i rilievi del ricorrente. Questa Corte ha, infatti, chiarito i rapporti tra la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 570 c.p., comma 2 e quella di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies precisando che trattasi di diverse violazioni di legge che, tuttavia, determinano un concorso apparente di reati, in quanto, in situazioni siffatte, il delitto di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori implica l’omissione del versamento dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile. Le Sezioni Unite hanno, altresì, precisato che quest’ultima violazione non integra il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 giacchè il generico rinvio, quoad poenam, all’art. 570 c.p., operato dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 21, (ed ora anche dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3), deve intendersi riferito alle pene alternative previste dall’art. 570 c.p., comma 1, (S.U., n. 23866 del 31/01/2013, Rv. 255269). Ne deriva che mentre può essere realizzata la violazione prevista dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies, o dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, senza che siano fatti mancare i mezzi di sussistenza alle parti offese indicate nell’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, il genitore divorziato o separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, commette un unico reato, quello previsto dall’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, con la conseguenza che la violazione meno grave (l’omissione di versamento dell’assegno di mantenimento), per il principio di assorbimento, volto ad evitare il bis in idem sostanziale, perde la sua autonomia e viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio (aver fatto mancare i mezzi di sussistenza nei confronti del beneficiario dell’assegno di mantenimento).
7. Segue per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo, nonchè della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi un’ipotesi di ricorso incolpevole ex sentenza n. 186 Corte Cost. del 7 giugno 2000, sanzione equitativamente liquidata come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016
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