Immobile abusivo: anche in caso di vendita, l’ordine di demolizione va eseguito nei confronti dell’acquirente
L’ordine di demolizione del manufatto abusivo, legittimamente adottato, deve essere eseguito nei confronti del proprietario dell’immobile indipendentemente dall’essere egli stato anche autore dell’abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa.
Cassazione penale, sez. III, 25/05/2016, (ud. 25/05/2016, dep.27/10/2016), n. 45433
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 9 febbraio 2015, il Tribunale di Trapani rigettava la richiesta di C.G., diretta ad ottenere la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione di opere abusive, quale pronunzia consequenziale ad una sentenza di condanna del Tribunale di Trapani, sez. distaccata di Alcamo, divenuta irrevocabile il 7 luglio 2004.
Il Tribunale affermava che l’ordine, avendo la sanzione natura reale, avrebbe esplicato effetto nei confronti di chiunque avesse la disponibilità del manufatto, nè avrebbe potuto ostare alla demolizione l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, in assenza di elementi idonei ad affermare l’esistenza di interessi pubblici al mantenimento dell’opera.
2. Ricorre per cassazione C.G., svolgendo un unico motivo. Assume il ricorrente che, avendo egli dato prova della cessione a terzi del manufatto, sarebbe stato onere del giudice dell’esecuzione disporre la citazione dell’attuale proprietario, anche al fine di verificare le istanze amministrative ai fini della sanatoria dell’abuso. Ed infatti, l’immobile era stato trasferito a tale C.R., con decreto del giudice dell’esecuzione civile il 2 ottobre 2007.
Nel suo parere, reso per iscritto, il Procuratore Generale ha sollecitato il rigetto del ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Questa Corte ha recentemente ribadito il principio di diritto secondo il quale, in tema di reati edilizi, l’esecuzione dell’ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell’accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall’alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all’ordine medesimo (Sez. 3, n. 42699 del 23/10/2015, Curcio, Rv. 265193; Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802) perchè l’ordine di demolizione, avendo carattere reale, ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene a prescindere dagli atti traslativi intercorsi, con la sola conseguenza che l’avente causa, se estraneo all’abuso, potrà rivalersi nei confronti del dante causa, o dei suoi eredi, a seguito dell’avvenuta demolizione. Infatti l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve pertanto essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (ex multis, Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403; Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175).
Ne consegue che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, legittimamente adottato, deve essere eseguito nei confronti del proprietario dell’immobile indipendentemente dall’essere egli stato anche autore dell’abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, ed altri Rv. 244612).
Pertanto, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo conserva la sua efficacia nei confronti di qualunque acquirente dal condannato, stante la preminenza dell’interesse paesaggistico e urbanistico, alla cui tutela è preordinato il provvedimento amministrativo emesso dal giudice penale, rispetto a quello privatistico, alla conservazione del manufatto, dell’avente causa del condannato.
3. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non essendovi ragione di ritenere che il gravame sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, il ricorrente va anche condannato al versamento della somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016
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