Il difensore può nominare anche “oralmente” un sostituto processuale

sostituto processuale nomina orale Tempo di lettura stimato: 9 minuti
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Avv. Marco Trasacco | La disciplina della nomina, da parte del difensore, del proprio sostituto processuale deve essere interpretata nel senso di ritenere legittimo l’uso della forma orale, senza che ciò renda necessaria la presenza del difensore sostituito al momento del conferimento dell’incarico al sostituto stesso (Cassazione penale sez. I 02 ottobre 2018 n. 48862).

Legittimo l’uso della forma orale per la nomina da parte del difensore del proprio sostituto processuale.

In seguito la sentenza per esteso


Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 – 25 ottobre 2018, n. 48862
Presidente Di Tomassi – Relatore Centofanti

Ritenuto in fatto

1. S.A. è imputato, dinanzi al G.u.p. del Tribunale di Vicenza, dei reati di cui agli artt. 348 e 640, secondo comma, n. 1), cod. pen., per aver esercitato abusivamente la professione medica, nel periodo compreso tra il novembre 1997 e il marzo 2014, lavorando come ginecologo-ostetrico, senza essere laureato né abilitato, alle dipendenze dell’Ospedale di (omissis) ; nonché per avere, sul contrario falso presupposto, che induceva in errore l’Ente pubblico datore, conseguito un profitto ingiusto, pari agli emolumenti stipendiali indebitamente percepiti.
Nei confronti di S. procede altresì, a seguito di citazione diretta a giudizio, il Tribunale di Venezia in composizione monocratica. In tale sede l’imputato risponde di lesioni colpose gravissime (art. 590, secondo comma, cod. pen.) ai danni di soggetto neonato, indotte da negligenza e imperizia nella fase di assistenza al parto, e – nuovamente – di esercizio abusivo ex art. 348 cod. pen., in relazione all’attività libero professionale svolta, dal giugno 2014 al febbraio 2015, presso la struttura sanitaria, sita nel Comune di Dolo, ove si era consumato il fatto di lesioni.
2. La coesistenza dei procedimenti era dalla difesa dell’imputato denunciata, a titolo di conflitto positivo, al G.u.p. del Tribunale di Vicenza, dopo che questi aveva respinto l’eccezione d’incompetenza territoriale, dalla stessa parte privata sollevata.
Nel trasmettere la denuncia a questa Corte di Cassazione, mediante l’ordinanza in epigrafe, il G.u.p. osservava, ai sensi dell’art. 30, comma 2, cod. proc. pen., come dovesse in realtà escludersi l’esistenza del conflitto positivo. Il delitto di esercizio abusivo della professione, reato eventualmente abituale, si consumerebbe nel luogo e nel tempo di realizzazione dell’ultima condotta tipica, reiterativa della serie unitariamente lesiva del bene giuridico tutelato, sorretta da dolo unitario. Quest’ultimo sarebbe, nel caso di specie, venuto meno con il pensionamento di S. e la correlata cessazione del rapporto di impiego con il Servizio sanitario nazionale; la successiva intrapresa di un nuovo rapporto di collaborazione professionale, con soggetto privato, integrerebbe una nuova determinazione a delinquere, idonea a configurare un distinto reato.
Nel caso, tuttavia, si ritenesse l’unitarietà del reato di cui all’art. 348 cod. pen., la competenza in ordine a tutte le imputazioni si radicherebbe, per il G.u.p. rimettente, nel foro di Vicenza, luogo di consumazione del più grave dei reati connessi, quello di truffa aggravata.
3. L’ordinanza era ritualmente comunicata, ai sensi dell’art. 31 cod. proc. pen., al Tribunale di Venezia, secondo giudice in conflitto, da cui non pervenivano osservazioni.
4. All’odierna udienza in camera di consiglio interveniva, assieme al Procuratore generale presso questa Corte, un sostituto del difensore fiduciario dell’imputato, delegato oralmente da quest’ultimo, che era ammesso a discutere in sua vece.

Considerato in diritto

1. Prima di esaminare il merito del conflitto, il Collegio intende illustrare le ragioni che inducono a ritenere pienamente rituale la designazione del sostituto del difensore titolare, operata da quest’ultimo in forma verbale e verbalmente comunicata al giudice procedente dal difensore sostituito.
2. È noto che, ai sensi dell’art. 102 c.p.p., il difensore di fiducia e quello di ufficio possono nominare un sostituto – la cui attività professionale viene ad ogni effetto ricondotta al sostituito, senza che rilevino eventuali limitazioni apposte da quest’ultimo (Sez. 3, n. 7458 del 15/01/2008, Barranca, Rv. 239010; Sez. 2, n. 40230 del 28/09/2005, Rizzo, Rv. 232663; Sez. 5, n. 14115 del 10/11/1999, Di Prenda, Rv. 216105) – con dichiarazione che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 96, comma 2, cod. proc. pen., e 34 disp. att. cod. proc. pen., deve essere fatta verbalmente all’autorità procedente, ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata.
Già la previsione codicistica è, dunque, nel senso di escludere forme rigorose nella modalità di designazione del sostituto, potendo manifestarsi la sottesa volontà, pur sempre da ricondurre al sostituito, anche oralmente, nel quale caso occorrendo soltanto – a norma degli artt. 134, comma 1, e 141, comma 1, cod. proc. pen., e 27, comma 1, lett. a), disp. att. cod. proc. pen. – procedere alla sua documentazione mediante processo verbale.
Nell’interpretazione del menzionato art. 96, comma 2, cod. proc. pen., che disciplina le modalità di nomina del difensore fiduciario, applicabile anche per la designazione del sostituto, la giurisprudenza di legittimità si è, del resto, sempre ispirata ad un principio di favore per l’esplicazione del diritto di difesa, escludendo il bisogno di autenticazione (Sez. 5, n. 8205 del 18/01/2018, Mura, Rv. 272434; Sez. 6, n. 15577 del 11/02/2011, Berloco, Rv. 250033; Sez. 3, n. 234 del 09/11/2006, dep. 2007, Ferrari, Rv. 235963), ovvero riconoscendo valida la nomina stessa, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dalla menzionata disposizione, in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione potesse tacitamente desumersi (Sez. 6, n. 54041 del 07/11/2017, G., Rv. 271715; Sez. 5, n. 36885 del 03/02/2017, Verucchi, Rv. 271270; Sez. 2, n. 52529 del 10/11/2016, Bellinato, Rv. 268412; Sez. 4, n. 34514 del 08/06/2016, Saadaoui, Rv. 267879), o, infine, privilegiando il fatto che la nomina fosse eseguita in forme tali da non consentire dubbi o incertezze sull’individuazione della persona incaricata dell’ufficio e sul procedimento per il quale la nomina venisse disposta (v., a contrario, Sez. 5, n. 4874 del 14/11/2016, dep. 2017, D’Amico, Rv. 269493).
3. Vero è che, secondo una linea interpretativa risalente all’abrogato codice di rito penale (Sez. 3, n. 1713 del 14/10/1986, dep. 1987, Italiano, Rv. 175116; Sez. 3, n. 866 del 29/04/1986, D’Imperio, Rv. 173089; Sez. 3, n. 5127 del 01/02/1979, Fiorillo, Rv. 142144), la giurisprudenza di legittimità ha univocamente sostenuto che la nomina del sostituto del difensore potesse essere fatta per iscritto, ovvero con dichiarazione inserita nel processo verbale, ma in quest’ultimo caso per essere valida dovesse provenire direttamente dal difensore sostituito, presente all’atto; e ciò in linea con le prescrizioni di cui all’art. 9 r.d.l. n. 1578 del 1933, conv. dalla legge n. 36 del 1934, ove al riguardo si prevede che l’avvocato possa procedere alla nomina di sostituti, da individuarsi tra i procuratori compresi nell’albo in cui egli si trovi iscritto, non superiori a tre con atto ricevuto dal cancelliere del tribunale o della corte di appello e da comunicarsi in copia al Consiglio dell’ordine, e possa farsi rappresentare da altro procuratore, esercente presso uno dei tribunali della circoscrizione della corte di appello e sezioni distaccate, attraverso incarico dato di volta in volta per iscritto negli atti della causa o con dichiarazione separata.
La necessità che il sostituto fosse munito di delega scritta del difensore titolare, consegnata all’autorità procedente o trasmessa per raccomandata, o altrimenti fosse investito verbalmente dal medesimo titolare, presente all’atto, discendeva dalla conforme impostazione della legge professionale.
4. Il relativo ordinamento è stato tuttavia riformato, per effetto della legge n. 247 del 2012.
L’art. 14 di essa, intitolato “Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni”, prevede, tra l’altro, che l’avvocato possa nominare stabilmente uno o più sostituti presso ogni ufficio giudiziario, depositando la nomina presso l’ordine di appartenenza (comma 4), ma possa altresì, in via contingente, farsi sostituire da un altro avvocato, o praticante abilitato, con incarico verbale nel primo caso, e scritto nel secondo (comma 2).
Univoca appare l’interpretazione della norma sul piano letterale. La previsione dell’oralità del conferimento della delega per la sostituzione, allorché questa opera in favore di un avvocato, è infatti nuova ed esplicita. Essa si contrappone nettamente alla diversa ipotesi, altrettanto chiaramente enunciata, che il legislatore ha formulato con riferimento alla delega solo scritta, che può essere rilasciata al praticante abilitato.
L’espressa menzione della delega orale, contenuta ora nella legge professionale, si collega al dato logico-giuridico, per cui la designazione di un difensore sostituto risponde normalmente all’esigenza di sopperire all’impossibilità di presenziare all’udienza (o all’atto da compiere) da parte del difensore titolare. Tale deve considerarsi la funzione della norma sul piano sistematico.
Se si guarda, quale criterio ermeneutico ulteriore, allo scopo perseguito dalla riforma, non è arduo ravvisarlo in un’esigenza di semplificazione – nel quadro del più generale indirizzo, volto ad esaltare l’affidamento dell’ordinamento nell’avvocato quale custode dei valori della professione e ad assicurarne l’esercizio responsabile – e in un’esigenza di armonizzazione in ambito Europeo.
Come risulta da un’indagine, anche rapida, di tipo comparatistico, negli ordinamenti dei Paesi di tradizione giuridica affine a quella italiana, come la Francia, la sostituzione all’udienza dell’avvocato officiato dal cliente non richiede forma scritta, salvo casi particolari, e presuppone il solo onere di informare preventivamente il cliente (Reglement Interieur National, art. 6.2); ma anche in un ordinamento di tipo anglosassone, come quello inglese, la delega per l’udienza può essere orale e non è richiesta la presenza del delegante.
Tali considerazioni inducono a ritenere tacitamente abrogato, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, ai sensi dell’art. 15 disp. prel. cod. civ., l’art. 9 r.d.l. n. 1578 del 1933, sopra citato; abrogazione alla luce della quale gli art. 96, comma 2, cod. proc. pen., e 34 disp. att. cod. proc. pen., debbono essere ormai interpretati nel senso che il difensore titolare possa farsi sostituire per l’udienza, o per l’atto processuale da compiere, conferendo incarico anche solo orale al difensore sostituto, senza essere necessariamente ivi presente, e senza altro onere diverso dalla formale dichiarazione (davanti al giudice e raccolta a verbale) del conferitario di averlo ricevuto; ferme le sue responsabilità di ordine penale, civile e deontologico, per il caso di dichiarazione mendace.
5. Occorre dare atto dell’esistenza di un precedente arresto di questa Corte (Sez. 5, n. 26606 del 26/04/2018, Vitanza, Rv. 273304), che ha concluso in senso contrario, negando l’intervenuta abrogazione dell’art. 9 r.d.l. n. 1578 del 1933, sopra citato. Si argomenta dal fatto che l’art. 65 della legge n. 247 del 2012 farebbe salve le norme anteriori fino all’entrata in vigore dei regolamenti previsti dalla stessa legge, che non risulterebbero allo stato emanati, e dal fatto che non risulti esercitata la delega prevista dall’art. 64 della medesima legge di riforma. Si ritiene, poi, che l’art. 14 di quest’ultima sia suscettibile, in parte qua, di un’interpretazione restrittiva, che ne limiti l’applicazione ai casi di sostituzione extra-processuale. Si afferma infine che, comunque intesa, tale disposizione costituirebbe norma generale, inidonea a derogare alle preesistenti disposizioni codicistiche di natura speciale.
Il Collegio non condivide tali obiezioni.
La nuova disposizione ha un ambito squisitamente giudiziale, come si ricava dall’esegesi in precedenza condotta e come è confermato dai lavori preparatori. Nella relazione di accompagnamento al testo unificato dei disegni di legge in materia di riforma dell’ordinamento forense, elaborato dal Comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica (A.S. 601-A, XVI legislatura), poi tradottosi nella legge n. 247 del 2012 – dopo l’affermazione che “l’articolo 13 (poi divenuto 14 nella redazione definitiva) reca, secondo la rubrica, la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni” – si legge che il comma 1 ha piuttosto ad oggetto le modalità di perfezionamento del mandato professionale, mentre i commi successivi disciplinano in maniera più compiuta la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni; e in fine si sottolinea che, mentre “la sostituzione processuale fra avvocati può essere conferita anche verbalmente”, nel caso di praticante abilitato è necessaria la delega scritta.
Che la nuova disciplina riguardasse dunque proprio il processo era un presupposto assunto come pacifico.
Non può dubitarsi, così, del contrasto puntuale tra la antecedente e la posteriore disposizione di ordinamento professionale, dell’abrogazione implicita della prima e dei riflessi, che se ne sono per l’effetto tratti, in ambito processuale.
Sotto altro aspetto, la legge n. 247 del 2012 è pienamente vigente nelle sue disposizioni, indipendentemente dal mancato riordino dell’intera materia attraverso il T.U. previsto dall’art. 64 della legge medesima, mentre non appare pertinente neppure il richiamo all’art. 65 di quest’ultima.
Esso prevede che, fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella legge n. 247 del 2012, si applicano, se necessario e in quanto compatibili, le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate.
Queste ultime sono le disposizioni dei precedenti regolamenti. Il legislatore ha inteso stabilire che, fino alla emanazione di quelli nuovi, si debbano osservare le prescrizioni di quelli che furono adottati per l’esecuzione del precedente ordinamento professionale, nella parte di esso ancora “attuale” ossia rispetto a settori di disciplina non incisi dalla novella.
In nessun modo tale disposizione transitoria, che riguarda le fonti di livello secondario, può giustificare la permanente vigenza dell’art. 9 del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, che si colloca tra le fonti primarie. Ciò anche a prescindere dall’intervenuta emanazione, contrariamente all’assunto che si confuta, di un cospicuo numero di atti regolamentari previsti dalla legge n. 247 del 2012; il Consiglio nazionale forense, per la parte di competenza, ne ha finora adottati dieci (recanti i numeri 1, 2, 3 e 4 del 2013; 1, 2, 3, 4 e 6 del 2014; e 1 del 2015) e quattordici il Ministero della Giustizia (numeri 55 e 170 del 2014; 38, 143 e 144 del 2015; 23, 47, 48, 58, 70, 156, 178 del 2016, oltre ad un uno senza numero in materia di polizze assicurative; n. 34 del 2017).
6. Risolta in senso favorevole la questione della legittimazione in causa del difensore sostituto, partecipante all’odierna udienza, il Collegio rileva l’esistenza del conflitto positivo, limitatamente al reato di esercizio abusivo della professione medica.
Essendo quest’ultimo un reato eventualmente abituale, la reiterazione degli atti tipici dà luogo ad un unico reato se l’attività dell’agente, sorretta da unico elemento soggettivo (Sez. 2, n. 43328 del 15/11/2011, Giorgini, Rv. 251376), è diretta all’esercizio della medesima professione (dovendosi, invece, ravvisare una pluralità di reati in presenza di una molteplicità di professioni esercitate: Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016, B., Rv. 268312).
In questo caso, l’azione lede in modo unitario il medesimo bene giuridico e il momento consumativo dell’unico reato coincide con l’ultimo atto della serie, vale a dire con la cessazione della condotta (Sez. 6, n. 20099 del 19/04/2016, Bordi, Rv. 266746; Sez. 6, n. 15894 del 08/01/2014, Erario, Rv. 260153).
Le contestazioni, di cui S. è chiamato a rispondere nelle diverse sedi processuali, integrano effettivamente un unico reato, giacché all’imputato si addebita l’esercizio, durato pressoché ininterrottamente per oltre quindici anni, di una professione (sempre la medesima, quella del medico) per la quale si assume che egli non avesse conseguito la prescritta abilitazione.
Né il mutamento di titolo dell’attività professionale (da lavoro dipendente a collaborazione autonoma), né la mera diversità soggettiva della controparte del relativo rapporto, incidono sull’unitarietà del momento volitivo, che sorregge una condotta univocamente orientata dal lato funzionale e finalistico.
7. Al riconoscimento dell’unicità del reato di cui all’art. 348 cod. pen. segue – per esso, e per il reato di truffa aggravata, connesso ex art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., perché in concorso formale – l’affermazione della competenza del Tribunale di Vicenza.
Seppure la consumazione del primo appaia cessata nel circondario di Venezia, la competenza deve essere determinata, in base all’art. 16, comma 1, cod. proc. pen., in relazione al luogo di consumazione del secondo, che è più grave; luogo ricompreso nel circondario di Vicenza.
In ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen. – non legato ai rimanenti da alcuna delle ragioni di connessione, disciplinate dall’art. 12 cod. proc. pen. resta ferma la competenza del Tribunale di Venezia.

P.Q.M.

Dichiara la competenza del Tribunale di Vicenza per i reati di cui agli artt. 348 c.p. e 640, secondo comma, c.p., al cui ufficio GIP dispone trasmettersi i relativi atti. Ferma la competenza del Tribunale di Venezia per il reato di cui all’art. 590 c.p..

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Ho approntato, nel corso degli anni, consulenza e difesa nell’ambito di procedimenti penali inerenti a varie materie. Svolgo la mia professione con zelo e dedizione e la mia soddisfazione è riuscire a guadagnare la fiducia dei clienti. Sono iscritto nelle liste dei difensori abilitati al gratuito patrocinio. Non esitate a contattarmi per qualsiasi informazione.

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