Disconoscimento di paternità, dati genetici, trattamento, consenso, assenza
Cassazione civile , sez. I, sentenza 13.09.2013 n° 21014
Il trattamento di dati genetici di carattere non sanitario, finalizzato ad estrarre informazioni relative al DNA per orientare la scelta verso un’azione di disconoscimento di paternità, con l’accertamento preventivo della consanguineità mediante un test predittivo, non è legittimo sulla base della sola Autorizzazione generale del Garante n. 2 del 2002, ma richiede il previo consenso dell’interessato, dovendosi inoltre rilevare, al riguardo, una continuità di regime giuridico, nel trattamento dei dati genetici, tra la fase anteriore e quella successiva all’emanazione dell’apposita Autorizzazione del 22 febbraio 2007, prescritta dall’art. 90 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
Nello specifico,in tema di trattamento dei dati personali, i “dati genetici” vanno distinti dai “dati sensibili”, di cui all’art. 4 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto la loro peculiarità consiste nel rivelare il corredo identificativo unico ed esclusivo di ciascuna persona umana, dall’interrogazione del quale può essere estrapolata un’ampia varietà d’informazioni, non tutte da includersi in quelle di natura sanitaria, e tale potenzialità predittiva ne determina l’ontologica diversità, onde, pur potendo le nozioni sovrapporsi, ciò non accade quando i dati genetici siano finalizzati ad individuare la consanguineità tra due soggetti. (Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento ad una controversia riguardante il trattamento di dati genetici, ottenuti mediante prelievo di mozziconi di sigaretta da parte di una agenzia investigativa e sottoposti, senza il consenso del titolare, al prelievo di campioni biologici ed accertamento del DNA).
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