Abuso edilizio: l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi

Studio Legale Trasacco & Pecorario Tempo di lettura stimato: 10 minuti
Print Friendly, PDF & Email

In tema di abusi edilizi l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l’ultimazione dell’immobile abusivamente realizzato.
Cassazione penale, sez. III, 13/07/2016, (ud. 13/07/2016, dep.17/11/2016), n. 48577

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21/01/2014 il Tribunale di Lecce condannò D.L.A., riconosciute le attenuanti generiche, alla pena, sospesa subordinatamente alla demolizione del manufatto abusivo, di cinque mesi di arresto e di 15.000,00 Euro di ammenda in relazione alle contravvenzioni, in concorso formale tra loro, di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, accertate il (OMISSIS), per avere realizzato, su un terreno di sua proprietà in catasto al foglio (OMISSIS), p.lla (OMISSIS) in Loc. (OMISSIS) del comune di Lecce, zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica, opere edilizie abusive costituite da: una piattaforma in conci di cemento vibro compresso, con sovrastante massello in cemento, della superficie di circa 122 mq., posta ad una altezza di 0.80 mt. del piano di campagna; un manufatto edilizio innalzato sulla suddetta piattaforma, delle dimensioni di circa 75 mq. realizzato in muratura e copertura con pannelli coibentati, composto da diversi vani abitativi; un manufatto edilizio ad uso garage in muratura, non ancora terminato; due vialetti interni, rispettivamente di circa 195 mq. e 33 mq., costituiti da conci laterali in cemento vibro compresso.
1.1. A seguito di sopralluogo effettuato il (OMISSIS) nel terreno di proprietà di D.L.A., personale del Corpo di Polizia Municipale del comune di Lecce aveva verificato che colà erano state realizzate, in assenza di permesso di costruire ed in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, le opere edilizie più sopra descritte.
Al momento del sopralluogo, secondo quanto accertato dal primo giudice, le opere edilizie si presentavano come “in piena esecuzione”. Infatti, secondo quanto ritratto anche in alcune fotografie scattate in quel frangente, era presente un manufatto “in piena costruzione”, realizzato allo stato grezzo e privo di tinteggiatura esterna, con un “inizio di impianti e principio di rifiniture”; e inoltre vi era del materiale depositato in loco in attesa di posa (mattoni forati in cemento vibro compresso) nonchè degli strumenti di lavorazione edile. Nella relazione del geometra comunale in data (OMISSIS), inoltre, era stata riportata la seguente descrizione della situazione: “il manufatto edilizio non risulta ancora terminato in quanto è stata realizzata solo una parte della coibentazione dell’intradosso del solaio ed è priva di pavimentazione”.
2. L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, impugnò la sentenza di condanna, censurando: con il primo motivo la mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, essendo stato provato, alla stregua delle dichiarazioni del teste D. e della documentazione aerofotogrammetrica estratta dal sito Google Earth MapS, che gli ultimi lavori erano stati effettuati, al più tardi, nel 2009, e che l’immobile già esisteva – sia pure “in fase rustica” nell’anno 2007; con il secondo motivo l’eccessività della pena inflitta, avuto riguardo alle dimensioni modeste dell’opera e alla circostanza che la zona, sebbene sottoposta a vincolo, fosse quasi completamente urbanizzata; con il terzo motivo l’eccessività della condizione apposta al beneficio della pena sospesa, consistente nella demolizione del manufatto.
2.1. Con sentenza della Corte d’Appello di Lecce in data 5/06/2015 la predetta sentenza fu parzialmente riformata limitatamente alla concessione dell’ulteriore beneficio della “non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale a richiesta di privati”, venendo essa confermata nel resto.
I giudici d’appello, richiamato anche il verbale di sequestro preventivo delle opere edilizie, nel quale si dava espressamente atto che “dalla visura storica catastale allegata, il fabbricato principale alla data del 23/12/2010 risulta in corso di costruzione e che alla data del 29/09/2011 vi è una variazione per ampliamento e diversa distribuzione degli spazi interni”, ritennero non provato che alla data del sopralluogo, e comunque prima del provvedimento autoritativo di sospensione, D.L. avesse completato le opere e, comunque, che egli avesse definitivamente e volontariamente desistito dal completarle.
Ed anzi, la Corte ritenne accertato che al momento del sopralluogo l’opera era in corso di esecuzione e che, essendovi sul posto del materiale edilizio, dovesse ritenersi che l’appellante stesse procedendo alla costruzione “a più riprese”, anche alla luce delle menzionate risultanze della visura storica. Viceversa, secondo i giudici d’appello, appariva come contrario alla logica, in assenza di qualunque giustificazione da parte dell’interessato, che l’imputato avesse iniziato a costruire, con notevole esborso di denaro, per poi sospendere la costruzione in via definitiva. Per tali ragioni, doveva ritenersi del tutto irrilevante quanto riferito dal teste D., il quale aveva avuto modo di vedere, nel 2009, la struttura portante ormai completa ed aveva dichiarato che i lavori erano certamente iniziati nel 2007.
Su tali basi la Corte respinse la tesi difensiva della avvenuta estinzione del reato per prescrizione; dovendo il dies a quo del relativo termine individuarsi nella data del sequestro (2012) e, dunque, non essendo il termine di cinque anni di cui agli artt. 157 e 161 c.p., al momento già spirato.
In ordine al quantum della pena, i giudici d’appello ne ribadirono la congruità, sottolineando l’avvenuta concessione, da parte del Tribunale, delle circostanze attenuanti generiche, nonostante che le opere realizzate non fossero affatto modeste.
Con riferimento poi alla decisione del primo giudice di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto, il Collegio, richiamata la sentenza n. 714 del 3/02/1997 delle Sezioni Unite di questa Corte, ritenne legittima la scelta compiuta dal Tribunale, non ravvisando nella prima decisione alcun vizio di motivazione, avendo l’ordine di demolizione natura di provvedimento accessorio alla condanna ed essendo stato, dunque, emesso sulla scorta del mero accertamento della persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato dalla norma.
Peraltro, in considerazione dell’incensuratezza dell’appellante, la Corte territoriale ritenne di concedere la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
3. Avverso la sentenza di secondo grado, D.L.A. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo quattro motivi di censura.
Con il primo motivo, si denuncia la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in riferimento all’art. 157 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) ed il travisamento della prova.
Secondo l’assunto dell’imputato, sarebbe pacificamente emerso, sia delle dichiarazioni rese dal teste D. (secondo cui nel 2009 “stavano incominciando a mettere dei pannelli…”), sia dalla consulenza di parte e dalla documentazione fotografica ad essa allegata, sia dalle fatture dell’anno 2009 (relative ai pannelli in coibentato ed alla rubinetteria connessa agli impianti), che l’immobile in questione fosse ultimato e perfezionato, completo delle rifiniture interne ed esterne e degli impianti (elettrico, idrico, fognante e tv), sin dall’anno 2009 e che, dunque, esso fosse già stato ultimato al momento dell’accertamento da parte della Polizia Municipale nel settembre 2012. Tanto più che, trattandosi di un’abitazione ad uso stagionale, destinata all’utilizzo nel solo periodo estivo, le rifiniture potevano ritenersi all’uopo sufficienti.
L’immobile, inoltre, era visibile, con il programma Google Maps, fin dal 2007, secondo quanto poteva ricavarsi dalla videata allegata alla relazione tecnica, sicchè la Corte di Appello, ritenendo che l’opera fosse ancora in corso di esecuzione al momento dell’accertamento, avrebbe travisato le prove documentali acquisite nel corso dell’istruttoria.
Peraltro, la Corte avrebbe apoditticamente affermato che “l’appellante costruiva a più riprese”, circostanza mai emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale; ed avrebbe, quindi, illogicamente ritenuto non verosimile che l’appellante potesse avere iniziato a costruire le opere, poi sospendendo definitivamente l’attività edificatoria, senza fornire alcuna giustificazione e nonostante il notevole esborso di denaro.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione. In assenza della prova della datazione dell’abuso, non fornita dalla Pubblica accusa, dovrebbe trovare applicazione, secondo quanto ritenuto in casi analoghi da questa Corte, il principio generale del favor rei, sì che il reato dovrebbe ritenersi consumato alla data più risalente.
Con il terzo motivo di ricorso, la difesa dell’imputato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), l’inosservanza ed erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 133, 164 e 165 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Sotto un primo profilo, la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente omesso di considerare la censura, già formulata nell’atto di appello, relativa al mancato contenimento della pena nei minimi edittali.
Sotto altro aspetto, si censura la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto, essendo differente la ratio dei due istituti e non sussistendo ragioni ostative alla sospensione della pena senza prevedere alcuna condizione, potendo la demolizione del manufatto essere realizzata in sede amministrativa e non ritenendosi legittima la limitazione della libertà personale fuori dei casi normativamente indicati.
Inoltre, il riconoscimento del beneficio della non menzione, fondata su un favorevole giudizio prognostico in ordine alla futura astensione dalla commissione di delitti, avrebbe dovuto determinare la sospensione condizionale della pena, sicchè anche sotto tale profilo la sentenza impugnata sarebbe “immotivata, illogica e contraddittoria”.
Del resto, secondo un orientamento giurisprudenziale, la subordinazione della sospensione della pena all’esecuzione dell’ordine di demolizione sarebbe illegittima in quanto il legislatore avrebbe inteso lasciare alla Pubblica amministrazione ogni decisione definitiva sulla destinazione del medesimo, che ben potrebbe essere utilizzato per prevalenti interessi pubblici. Nella specie, peraltro, avendo l’Amministrazione comunale adottato un provvedimento di acquisizione del bene al proprio patrimonio, l’esecuzione dell’ordine di demolizione sarebbe stata sottratta alla sfera volitiva dell’imputato.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
4.1. Quanto al primo motivo di impugnazione pare opportuno premettere che entrambi i reati contestati hanno natura permanente, sicchè la loro consumazione si protrae per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia illecita (v. Sez. U., n. 17178 del 8/05/2002, Cavallaro, Rv. 221399), cessando soltanto o al momento della totale sospensione dei lavori, conseguente all’adozione di un provvedimento autoritativo ovvero al momento della desistenza volontaria da parte dell’agente, consistente in un comportamento inequivoco di definitiva cessazione del persistere della condotta antigiuridica (in argomento v. Sez. 3, n. 49990 del 4/11/2015, P.G. in proc. Quartieri e altri, Rv. 265626; Sez. 3, n. 12156 in data 8/10/1998, La Spina F ed altro, Rv. 212176).
Nella specie, peraltro, si assume, da parte dell’imputato, non già l’avvenuta desistenza volontaria nella realizzazione di opere non assentite, quanto piuttosto l’ultimazione delle stesse, dalla quale decorrerebbe il termine prescrizionale.
A sua volta, l’ultimazione dei lavori, secondo l’orientamento accolto da questo Collegio, coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424), di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorchè accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l’ultimazione dell’immobile abusivamente realizzato (Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153).
Ciò posto, deve rilevarsi come le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito sul punto appaiano pienamente condivisibili ed in linea con l’orientamento dianzi delineato. Con una precisazione preliminare.
Si è detto, infatti, che mentre i giudici merito hanno ritenuto pacifica la mancata ultimazione le opere, il ricorrente ha, altrettanto risolutamente, affermato l’ultimazione delle stesse. Pare dunque evidente che la questione sottoposta a questa corte, lungi dall’implicare la soluzione di questioni di diritto, finisca con il risolversi in una mera questione di fatto, attinente al concreto accertamento delle condizioni del manufatto all’epoca del sopralluogo. Una indagine, questa, ovviamente sottratta alla piattaforma cognitiva del giudice di legittimità.
Ne consegue che l’unico controllo che può ammettersi, da parte di questa Corte, sulla sentenza impugnata, finisce con il risolversi nella, peraltro puntualmente dedotta, questione sulla congruità della motivazione del provvedimento.
Sotto questo aspetto, ritiene il Collegio che i giudici d’appello abbiano esplicitato, con motivazione puntuale e coerente, del tutto scevra da aporie di carattere logico, le ragioni per le quali i lavori, al momento del sopralluogo, non potessero ritenersi ultimati.
Intanto, secondo quanto rilevato già dal giudice di prime cure, alla data del (OMISSIS), il manufatto si trovava ancora allo stato grezzo e, dunque, privo di tinteggiatura esterna, gli impianti non erano stati completati, così come le rifiniture. Inoltre, nell’area adiacente al fabbricato erano presenti materiali edili e strumenti per la lavorazione e, secondo quanto specificato nella relazione del geometra comunale, era stata realizzata solo una parte della coibentazione dell’intradosso del solaio e la costruzione era priva di pavimentazione. Infine, secondo quanto riportato nel verbale di sequestro preventivo delle opere in questione, dalla visura storica catastale emergeva che il fabbricato principale, alla data del 23/12/2010, risultava ancora in corso di costruzione e che alla data del 29/09/2011 era stata operata una variazione per ampliamento e diversa distribuzione degli spazi interni.
Di fronte ad un assetto probatorio dotato di valenza chiaramente univoca, la corte ha coerentemente ritenuto non decisive le dichiarazioni del teste D., apparendo certamente non significativo che i lavori fossero iniziati nel 2007 e che, nel 2009, egli avesse visto la struttura portante ormai completa. Ciò in quanto tale descrizione non era chiaramente in grado di attestare, in quella fase, l’avvenuta conclusione dei lavori. Ed altrettanto è a dirsi sia per l’aerofotogrammetria del 2007, certamente idonea ad attestare la presenza di un manufatto, ma altrettanto pacificamente inidonea a dimostrare l’avvenuta conclusione dell’opera; sia per le fatture commerciali, risalenti al 2009 e relative ai materiali destinati alle finiture, atteso che l’acquisto degli stessi non poteva certamente ritenersi dimostrativo di un loro effettivo utilizzo. Resta, da ultimo, quanto attestato nella consulenza tecnica di parte, nella quale era stata descritta una situazione di avvenuta conclusione dei lavori. Anche sotto tale profilo, tuttavia, la corte d’appello ha logicamente argomentato nel senso della non concludenza dei contenuti della relazione, considerato che la stessa, ovviamente, era stata redatta in epoca successiva al predetto sopralluogo.
Su tali basi, dunque, la Corte ha correttamente collocato il dies a quo del termine di prescrizione nella data del sequestro preventivo, intervenuto nel corso del 2012, escludendo correttamente l’avvenuta estinzione dei reati.
4.2. Le argomentazioni che precedono impongono, altresì, il rigetto del secondo motivo di ricorso, atteso che, come più sopra dimostrato, la sentenza impugnata ha escluso ogni incertezza in ordine alla datazione dei lavori, sicchè deve escludersi la collocazione temporale delle opere, in applicazione del principio del favor rei, in epoca precedente al sopralluogo.
4.3. Parimenti infondate sono le censure poste a fondamento del terzo motivo di ricorso.
Quanto al mancato contenimento della pena nei minimi edittali, giova ricordare che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, mentre “l’irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (v. Cass., Sez. 4, 26/06/2013, n. 27959, Rv. 258356; Cass., Sez. 1, 04/06/2013, n. 24213, Rv. 255825; Cass., Sez. 2, 18/09/2009, n. 36245, Rv. 245596), viceversa “la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. (Sez. 4, 17/05/2013, n. 21294, Rv. 256197; Sez. 4, 21/09/2007, n. 38536).
Nel caso di specie, i giudici d’appello hanno evidenziato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio, che si colloca, pur dopo l’aumento a titolo di continuazione, ben al di sotto della linea mediana della cornice edittale, avendo peraltro la sentenza posto in luce come il Tribunale abbia concesso le attenuanti generiche nella loro massima estensione, nonostante la non modesta entità delle opere realizzate e, dunque, del relativo pregiudizio agli interessi tutelati dalle norme incriminatrici.
Nè possono ritenersi conferenti le censure mosse alla scelta dei giudici di merito di subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto, trattandosi di statuizione pacificamente rientrante tra le facoltà del giudice procedente, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, avallato in epoca risalente dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996, Luongo, Rv. 206659) e costantemente riproposto, anche recentemente (v., ex multis, Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, Russo, Rv. 258517), avendo l’ordine di demolizione dell’opera, alla stregua di quanto previsto dall’art. 165 c.p., la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato.
Parimenti infondata è la censura secondo cui il riconoscimento del beneficio della non menzione avrebbe dovuto determinare anche la sospensione condizionale della pena, atteso che i due istituti sono diversi per struttura e funzione atteso che, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicchè non è contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell’altro (Sez. 6, n. 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484; Sez. 4, n. 34380 del 10/07/2011, Allegra, Rv. 251509; Sez. 1, n. 45756 del 14/11/2007, Della Corte, Rv. 238137).
Quanto, infine, alla deduzione secondo cui, avendo l’Amministrazione comunale adottato un provvedimento di acquisizione del bene al proprio patrimonio, l’esecuzione dell’ordine di demolizione sarebbe stata sottratta alla sfera volitiva dell’imputato, deve ribadirsi l’orientamento secondo cui alla decisione del giudice di subordinare il beneficio della sospensione della pena alla demolizione dell’opera abusiva non è ostativa l’avvenuta acquisizione dell’immobile al patrimonio del Comune, poichè anche quest’ultima è finalizzata alla demolizione del manufatto abusivamente costruito (in questi termini, da ultimo, Sez. 3, n. 32351 del 1/07/2015, Giglia e altro, Rv. 264252; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2014, Russo, Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/05/2013, Farina, Rv. 255466).
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, dunque, rigettato e l’imputato condannato alle spese del presente procedimento.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

Avv. Marco Trasacco on EmailAvv. Marco Trasacco on FacebookAvv. Marco Trasacco on LinkedinAvv. Marco Trasacco on RssAvv. Marco Trasacco on Twitter
Avv. Marco Trasacco
Avv. Marco Trasacco
Ho approntato, nel corso degli anni, consulenza e difesa nell’ambito di procedimenti penali inerenti a varie materie. Svolgo la mia professione con zelo e dedizione e la mia soddisfazione è riuscire a guadagnare la fiducia dei clienti. Sono iscritto nelle liste dei difensori abilitati al gratuito patrocinio. Non esitate a contattarmi per qualsiasi informazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.