Sussiste l’ipotesi di maltrattamenti se le condotte offensive sono connotate da ripetitività
Avv. Marco Trasacco | Nel delitto di maltrattamenti le condotte devono essere connotate da ripetitività tale da costituire quella continuità ed abitualità che configura la condotta materiale del reato, dovendo questa consistere nella sottoposizione del familiare ad una serie di sofferenze fisiche e morali che, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire reato (Cassazione penale sez. IV, 25/11/2020, n.34351).
In sintesi
Nel caso in esame, pur essendo state accertate “solo” sporadiche condotte violente, è stato comunque ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti integrato dall’abitualità di altri comportamenti (e, dunque, anche diversi dalla violenza sic et simpliciter) sufficienti ad realizzare un contesto di vita improntato alla sottomissione e sopraffazione della persona offesa.
La Suprema Corte, infatti, ha rigettato il ricorso dell’imputato evidenziando che “…la Corte territoriale con la sentenza qui impugnata rappresenta gli episodi di prevaricazione nei confronti della vittima, consistiti in continui insulti (sei una scrofa, come sei brutta, copriti, fai schifo, sei grassa, dovrei cambiare le porte perché non ci entri più, tra dieci anni ti cambio con una più giovane e più bella) pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, nel far mancare alla persona offesa i mezzi finanziari necessari per l’acquisto di beni di prima necessità, cui si sono accompagnate le sporadiche condotte violente riferite ed accertate…”.
In altri termini, la Corte ha ritenuto che le considerazioni svolte dai Giudici di merito fossero sufficienti a sorreggere il giudizio di ripetitività ed abitualità dei comportamenti richiesto dal delitto di cui all’art. 572 c.p., costituendo il nucleo di un abituale comportamento vessatorio ai danni della moglie dell’imputato.
La sentenza per esteso
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 marzo 2019 la Corte di Appello di Bologna, in sede di giudizio di rinvio, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Bologna con cui C.G. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 572 c.p., per avere sottoposto la moglie S.H. e la figlia minore A.M. a continue vessazioni percosse e violenze, nonchè del reato di cui all’art. 609 bis c.p., comma 1, per avere costretto la moglie a subire atti sessuali contro la sua volontà, assolvendo il medesimo dal reato di cui all’art. 572 c.p., nei confronti della figlia e riconoscendo l’attenuante di cui all’art. 609 bis, u.c., per il reato di violenza sessuale nei confronti della moglie.
2. La Corte di Cassazione con sentenza n. 31426 del 13 aprile 2018, in sede rescindente, aveva annullato la sentenza della Corte di Appello di Bologna in data 20 aprile 2017, che confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Bologna con cui C.G. era stato condannato per i reati di cui all’art. 609 bis c.p., comma 1 e art. 572 c.p. limitatamente alla condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia, per difetto di motivazione in ordine circa la ripetività ed ossessività degli atti, necessaria ai fini della sussistenza del delitto, nonchè alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. non essendo il diniego sorretto da valida valutazione circa i mezzi, le modalità esecutive e di coartamento della persona offesa.
3. Avverso la sentenza resa in sede rescissoria propone ricorso, a mezzo del suo difensore, C.G. affidandolo ad un unico articolato motivo.
4. Con la doglianza fa valere il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e dell’illogicità in ordine all’omessa valutazione di una prova decisiva al fine della valutazione della credibilità della perSona offesa. Rileva che la Corte territoriale è incorsa in errore avendo ritenuto che con la sentenza di annullamento fosse stato richiesto al giudice del rinvio di limitarsi a valutare l’abitualità degli atti di maltrattamento, mentre il mandato affidato dalla Corte di cassazione doveva ritenersi relativo all’accertamento della sussistenza degli atti vessatori, ciò implicando una valutazione sostanziale della credibilità della persona offesa. Osserva che seppure la Corte territoriale abbia premesso di non dover provvedere al vaglio delle dichiarazioni di S.H., in realtà le ha analizzate, ritendole pienamente affidabiili, senza tuttavia occuparsi di riconsiderare tutto il materiale probatorio a disposizione. In particolare, il giuidce di seconda cura ha omesso di esaminare le dichiarazioni rese da S.H. alla polizia giudiziaria in data 22 settembre 2013, trasfuse nella relazione di servizio acquisita dal giudice di prima cura, pur a fronte delle plurime sollecitazioni della difesa in questo senso. Assume che siffatte dichiarazioni, per il momento storico nel quale sono intervenute, si dimostrano di assoluta rilevanza. Invero, la relazione di servizio riporta che il 22 settembre 2013 gli operanti di una volante della Polizia di Stato, intervennero presso l’abitazione del nucleo familiare, a seguito della segnalazione da parte di S.H. di atti di maltrattamenti da parte dell’imputato nei confronti della figlia, accusa dalla quale C. è stato assolto dalla sentenza impugnata. Osserva che l’episodio si colloca a ridosso delle condotte vessatorie assertivamente realizzatesi nei confronti della moglie nel periodo giugno-luglio 2013, oggetto della contestazione di questo processo. Rileva che la persona offesa sentita dagli operanti che avevano constatato dallo S.D.I. la presenza di denunce per violenza sessuale e maltrattamenti di famiglia relative all’anno 2012, formulate da S.H., aveva dichiarato che dopo quegli episodi, – che pure l’avevano indotta a lasciare l’abitazione rifugiandosi dal fratello per un mese – il marito non aveva più reiterato le condotte denunciate nei suoi confronti. Le dichiarazioni spontaneamente rese in quell’occasione, in un ambiente scevro da condizionamenti, divergono da quelle rese successivamente nel corso del procedimento. Nodimeno, nè siffatta dichiarazione, nè quella resa avanti al Tribunale dei minorenni di Bologna – con cui S.H. ribadiva l’assenza di atti di violenza verbale o fisica, dichiarando di avere “un pò esagerato” – è stata coerentemente giudicata dai giudici di merito ai fini della valutazione di credibilità della persona offesa. La Corte territoriale, infatti, si è limitata a considerare quanto affermato in sede di giudizio minorile sull’allontanamento del padre dalla casa familiare alla cui cura era affidata la figlia come un tentativo della madre di tenere unita la famiglia, laddove un vaglio complessivo delle plurime dichiarazioni della persona offesa avrebbe consentito una migliore rappresentazione del reale svolgimento dei fatti, inducendo necessariamente una diversa valutazione dell’affidabilità di S.H.. L’omessa considerazione di quanto affermato dalla medesima il 22 settembre 2013, dunque, mina gravemente l’impianto argomentativo della sentenza impugnata e ne impone l’annullamento.
5. Con requisitoria scritta, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo è manifestamente infondato.
2. Come correttamente ritenuto dal giudice del rinvio, il mandato del giudice di legittimità, in sede rescindente, non era affatto quello di procedere ad una nuova valutazione della credibilità della persona offesa, bensì quello di valutare se le condotte indicate nell’atto di imputazione fossero inquadrabili nel delitto di cui all’art. 572 c.p., in quanto connotate da ripetitività tale da costituire quella continutità ed abitualità che configura la condotta materiale del reato, dovendo questa consistere nella sottoposizione del familiare ad una serie di sofferenze fisiche e morali che, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire reato, (ex multis Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S., Rv. 252350), accompagnata, sotto il profilo soggettivo, dalla coscienza e volontà dell’agente di porre in essere siffatti atti vessatori.
3. Ora, è vero che nell’adempiere al compito assegnato dalla sentenza di annullamento, la Corte territoriale ripercorre il racconto della persona offesa, richiamando le considerazioni già svolte in sede di merito, in particolare in relazione alla rimessione di querela per i fatti precedentemente denunciati – e non per quelli oggetto del presente processo – ed alle dichiarazioni rese avanti al Tribunale per i minorenni, in data 27 marzo 2014, nonchè al matrimonio contratto con l’imputato, successivamente al periodo in cui ricadono gli episodi contestati, ma lo fa per fugare ogni residuo dubbio sulla sussistenza degli atti da cui è scaturita l’accusa di maltrattamenti in famiglia. Nè, d’altro canto, il giudice della rescissione, aveva affrontato, ritenendola illogica od incompleta, la motivazione circa l’affidabilità della persona offesa, vizio che dalla lettura della sentenza di annullamento non pare neppure essere stato effettivamente sottoposto alla censura del giudice di legittimità.
4. Non era, pertanto, richiesto alla Corte, in sede rescissoria, di completare il vaglio della testimonianza della persona offesa in relazione all’affidabilità complessiva della narrazione, attraverso la rivisitazione delle sue affermazioni ponendola a confronto con la documentazione acquisita al procedimento, fra cui la difesa indica le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria in data 22 settembre 2013.
5. Ciò di per sè rende inammissibile il ricorso. D’altro canto, la Corte territoriale con la sentenza qui impugnata rappresenta gli episodi di prevaricazione nei confronti della vittima, consisiti in continui insulti (sei una scrofa, come sei brutta, copriti, fai schifo, sei grassa, dovrei cambiare le porte perchè non ci entri più, tra dieci anni ti cambio con una più giovane e più bella) pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, nel far mancare alla persona offesa i mezzi finanziari necessari per l’acquisto di beni di prima necessità, cui si sono accompagnate le sporadiche condotte violente riferite ed accertate. Siffatte considerazioni sono sufficienti a sorreggere il giudizio di ripetitività ed abitualità dei comportamenti richiesto dal delitto di cui all’art. 572 c.p., costituendo il nucleo di un abituale comportamento vessatorio ai danni della moglie dell’imputato.
21. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Si dispone l’oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020
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