Mantenimento dei figli: l’aiuto dei familiari e la disoccupazione non evitano la condanna

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Avv. Marco Trasacco | Il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare viene ad integrazione anche nel caso in cui l’altro genitore ovvero i parenti di questo, come nel caso di specie, provvedono in via sussidiaria a corrispondere ai bisogni della prole (Cassazione penale , sez. VI , 26/06/2019 , n. 38690).

Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Confermata la condanna per un uomo, che per quasi quattro anni ha contribuito solo parzialmente al mantenimento delle figlie, non versando integralmente l’assegno stabilito dal Tribunale civile. Egli ha provato a difendersi spiegando di non avere potuto svolgere alcuna attività lavorativa. Per i Giudici, però, pur non percependo reddito, egli non ha spiegato come abbia potuto trovare i fondi per il proprio sostentamento. Plausibile, di conseguenza, che egli abbia lavorato ‘in nero’, e ciò esclude una sua assoluta impossibilità di far fronte all’obbligo nei confronti delle figlie.

In seguito la sentenza per esteso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRONCI Andrea – Presidente –
Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere –
Dott. GIORGI Maria Silv – Consigliere –
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –
Dott. COSTANTINI Anton – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
N.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/01/2019 della Corte di appello di Bari;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Antonio Costantini;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Orsi Luigi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito i difensori, avvocato Matteo Florio, per la parte civile M.G., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori, che si riporta alle conclusioni; avvocato Francesco Amerigo, in sostituzione dell’avvocato Michele Finocchetti, per N.A., che si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. N.A., a mezzo dell’avvocato Michele Finocchietti, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Foggia del 26 maggio 2014, che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi sino al (OMISSIS) ex art. 649 c.p.p. e rideterminato la pena relativamente ai fatti residui, relativi al periodo ricompreso tra l'(OMISSIS), in mesi sei di reclusione ed Euro 500 di multa.

Secondo l’accusa, N.A. avrebbe, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, serbando una condotta contraria alla morale della famiglia, omesso di contribuire in maniera adeguata al mantenimento delle figlie minori non versando integralmente l’assegno dell’importo di Euro 400 fissato dal Tribunale civile di Foggia, così facendo mancare alle predette i mezzi di sussistenza.

2. Il ricorrente deduce i motivi di ricorso di seguito indicati.

2.1. Vizi cumulativi di motivazione per avere la Corte di appello di Bari riconosciuto la colpevolezza del N. senza valutare la negativa incidenza del sinistro occorsogli sulla capacità lavorativa e, conseguentemente, di produrre reddito. In tal senso avrebbe deposto la documentazione che, contrariamente a quanto affermato del Giudici di merito, non avrebbe consentito di svolgere l’attività lavorativa di imbianchino, nè la possibilità di ricercare una differente attività lavorativa tenuto conto della limitata scolarizzazione del ricorrente.

La contraddittorietà della motivazione emergerebbe, altresì, nella parte in cui la Corte territoriale ha dapprima affermato che le lesioni riportate dal N. erano tali da rendergli impossibile lo svolgimento dell’attività lavorativa, per poi ritenere che l’inabilità non era tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa che non comportasse attività fisica o sforzi considerevoli; le condizione fisiche del N., invero, per come desumibili dal referto del pronto soccorso e dalla cartella clinica allegata agli atti, sarebbero state tali da compromettere la possibilità di lavorare per sei mesi e non per appena quaranta giorni, come la Corte di merito, travisando le prove, aveva affermato. L’incidente che si era verificato nel periodo precedente a quello oggetto di contestazione era evento idoneo ad influire sulle capacità di produrre reddito e, conseguentemente, di incidere sulla concreta possibilità di adempiere.

Illogica risulterebbe la parte della motivazione che ritiene sotto tale aspetto irrilevante l’intervento chirurgico all’addome effettuato il (OMISSIS), erroneamente valutato essere stato prossimo alla scadenza del periodo oggetto di contestazione, tenuto conto della cessazione della condotta omissiva il (OMISSIS).

Nè sarebbe stato adeguatamente valutato l’intervenuto pignoramento del credito dell’importo di Euro 13.500, erroneamente quantificato in Euro 9.000, circostanza che, unitamente ai versamenti effettuati dall'(OMISSIS) per complessivi Euro 7.000, consentiva di ritenere abbondantemente coperto il complessivo importo dovuto.

2.2. Mancata valutazione di prove decisive ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), nella parte in cui la Corte territoriale, ritenendo irrilevante il periodo successivo all’intervento chirurgico avvenuto nel (OMISSIS), non ha poi ritenuto di dover assolvere il ricorrente quantomeno per il periodo successivo a detto intervento, durante il quale non era stato possibile al N. adempiere. Erronea, inoltre risulterebbe la quantificazione del credito pignorato documentalmente accertato per un importo di Euro 13.500 e non di Euro 9.000, che, se adeguatamente valutato, avrebbe determinato una differente valutazione in ordine alla responsabilità.

2.3. Vizi cumulativi di motivazione e violazione degli artt. 570,157 e 158 c.p..

Alla luce del parziale pagamento e del pignoramento del credito per l’importo di Euro 13.500, si sarebbe realizzata la interruzione della permanenza del reato di cui al 570 c.p., con la necessità di pronunciare una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato in relazione ai fatti commessi fino al (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, generico e versato in fatto, è inammissibile.

2. Generici e versati in fatto risultano il primo ed il secondo motivo che, pur astrattamente deducendo carenze della motivazione della decisione in ordine ai profili connessi all’impossibilità di adempiere ed alla volontarietà dell’omissione, attraverso un’opera di parcellizzazione di singole frasi contenute nella motivazione della Corte distrettuale, tentano di accreditare una difforme ricostruzione delle emergenze per come adeguatamente vagliate. Ciò costituisce una preclusa censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri (Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000, Garasto L, Rv. 216367) o una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884).

Nessuna lacuna, invero, emerge dalla motivazione della decisione impugnata che ricostruendo la vicenda sottoposta al gravame, ha avuto modo di evidenziare come inconferente, ai fini della dedotta impossibilità di adempiere e della insussistenza dell’elemento soggettivo, fosse la circostanza che il ricorrente avesse avuto problemi fisici inabilitanti ai fini della capacità di produrre reddito. L’istruttoria dibattimentale aveva fatto emergere come il ricorrente lavorasse “in nero” e, quindi, sia il sinistro stradale – da cui era scaturito un periodo di inabilità che, anche ad assecondare la tesi difensiva (disattesa dalla Corte territoriale) si era comunque concluso in data anteriore rispetto al periodo oggetto di contestazione – sia l’intervento chirurgico – in ordine al quale non era stata attestata la durata dell’inabilità – non potevano ritenersi eventi tali da giustificare la parziale e continuativa omissione nella corresponsione di quanto dovuto in favore delle figlie minori.

Ossequioso al principio di questa Corte risulta quanto enunciato dai Giudici di merito che al riguardo hanno rilevato che l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve, altresì, integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Sez. 6, n. 33997 del 24/06/2015, C, Rv. 264667).

La Corte territoriale ha assegnato valenza dirimente alla circostanza che, nonostante il ricorrente avesse addotto di non percepire alcun reddito, non avesse poi spiegato attraverso quali mezzi avesse potuto provvedere al proprio sostentamento, così potendo assegnare credibilità alla versione secondo cui esercitasse attività lavorativa non dichiarata con conseguente mancata prova in ordine all’impossibilità di provvedere al pagamento di quanto necessario per il sostentamento delle proprie figlie.

Consolidato, infatti, risulta il principio secondo cui, nei confronti dei minori, lo stato di bisogno è presunto, salvo prova contraria (Sez. 6, n. 26725 del 26/3/2003, D’Onofrio, Rv. 225875). Sotto tale profilo, penalmente rilevante risulta anche l’inadempimento parziale dell’obbligo di corresponsione dell’assegno alimentare, quando le somme versate non consentano ai beneficiari di far fronte alle loro esigenze fondamentali di vita (Sez. 6, n. 13900 del 28/03/2012, F., Rv. 252608), situazione che la Corte distrettuale ha valutato aver precipuamente patito la parte offesa: donde la conclusione che, sia a causa del lungo periodo di tempo in cui si è realizzato l’inadempimento, sia per l’incostante versamento di quanto dovuto, il nucleo familiare aveva dovuto fronteggiare difficoltà economiche superate solo grazie all’ausilio dei familiari che avevano provveduto a farsi carico in forma continuativa della parte offesa. Interpretazione, quella assegnata alla norma, fedele al principio di questa Corte, a mente del quale il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare viene ad integrazione anche nel caso in cui l’altro genitore ovvero i parenti di questo, come nel caso di specie, provvedono in via sussidiaria a corrispondere ai bisogni della prole (Sez. 6, n. 34675 del 07/07/2016, R, Rv. 267702; Sez. 6, n. 17692 del 09/01/2004, Bencivenga, Rv. 228491).

Correttamente, infine, la Corte distrettuale ha ritenuto non dirimente il riferimento al pignoramento del credito. Premesso che detto pignoramento riguarda un decreto ingiuntivo risalente al 2007 – come tale inerente ad un debito maturato dal ricorrente con una condotta diversa ed antecedente a quella per cui è processo -, in ogni caso la circostanza, nessun effetto positivo può avere in ordine all’integrazione di un reato già venuto ad esistenza in tutte le sue componenti, potendo semmai incidere solo sulla quantificazione del credito e sulle successive connesse statuizioni.

3. Manifestamente infondato e versato in fatto risulta, altresì, l’ultimo motivo di ricorso attraverso il quale si eccepisce l’intervenuta prescrizione dei fatti antecedenti al luglio del 2011.

La violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, è reato permanente, che non può essere scomposto in una pluralità di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell’omissione; ciò comporta che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l’adempimento dell’obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 45462 del 20/10/2015, D’A, Rv. 265452; Sez. 6, n. 42543 del 15/09/2016, C, Rv. 268442); principio di diritto che, alla luce del rilevato non integrale adempimento, fa sì che il termine di consumazione risulti essere quello del (OMISSIS), momento in cui, sulla base di quanto enunciato in sentenza, era in essere la condotta omissiva del N..

La cessazione della permanenza determinata alla data del (OMISSIS) fa ritenere manifestamente infondato il motivo con cui si deduce l’intervenuta prescrizione del reato.

4. All’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si considera conforme a giustizia fissare in Euro duemila, nonchè al pagamento della rifusione delle spese per il grado in favore della parte civile M.G. da determinarsi come da dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione di quelle del grado in favore della costituita parte civile, M.G. (in proprio e nella qualità), che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre rimborso spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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