Prelievo illegittimo del mandatario sul conto corrente del mandante
Avv. Marco Trasacco | È responsabile del delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando gli ordini a lui impartiti, si appropri del denaro ricevuto utilizzandolo per procurarsi un ingiusto profitto, dunque per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante (Cassazione penale sez. IV, 04/12/2018, n.5436).
PRELIEVO ILLEGITTIMO DEL MANDATARIO SUL CONTO CORRENTE DAL MANDANTE: FURTO O APPROPRIAZIONE INDEBITA?
Integra il delitto di appropriazione la condotta del mandatario che, violando le disposizioni impartitegli, si appropri del denaro depositato sul conto corrente del mandante, disponendo bonifici a proprio favore.
Nel caso di specie, l’imputata era stata condannata perché ritenuta responsabile del reato di cui agli artt. 624, 61, n. 5 e n. 7, c.p., per essersi impossessata, quale delegata della persona offesa a operare sul proprio conto corrente presso la Banca popolare del Mezzogiorno, della somma complessiva di 49 mila euro disponendo due bonifici a proprio favore, per procurarsi un ingiusto profitto pari alla somma sottratta.
Con il ricorso per cassazione, l’imputata eccepiva l’errata qualificazione giuridica del fatto.
La Corte ha accolto il motivo incentrato sulla qualificazione giuridica della condotta contestata all’imputata, ricondotta nella fattispecie di cui all’art. 646 c.p. Invero, secondo quanto accertato nel corso dei giudizi di merito, l’imputata era stata delegata per iscritto dalla parte civile ad operare sul conto corrente bancario di quest’ultima e, pertanto, aveva agito nella qualità di possessore, essendole stato concesso di disporre della cosa al di fuori della sfera di sorveglianza della proprietaria.
La Cassazione si è perciò ricollegata all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui commette il delitto di appropriazione indebita “il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto utilizzando per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante”.
Nello stesso senso si colloca l’orientamento che ravvisa il delitto di cui all’art. 646 c.p. a carico del cointestatario di un conto corrente bancario il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza in base al criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 c.c. secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali.
In seguito la sentenza per esteso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo – Presidente –
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –
Dott. TORNESI Daniela Rit – rel. Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/01/2018 della CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA RITA TORNESI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DE
MASELLIS Mariella che, previa riqualificazione del fatto nel reato
di cui all’art. 646 c.p., conclude per il rigetto del ricorso.
Il difensore presente avvocato CAROLEO CONSOLATO in difesa di
M.M. insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato CAROLEO comunica che la persona offesa è deceduta.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 25 gennaio 2018 la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava M.M. responsabile del reato ascritto e la condannava alla pena ritenuta di giustizia.
1.1. Alla predetta imputata veniva contestato il reato di cui all’art. 624 c.p., art. 61 c.p., nn. 5 e 7, perchè, quale delegata di B.C. ad operare sul proprio conto corrente presso la Banca popolare del Mezzogiorno – agenzia di (OMISSIS) – per procurarsi un ingiusto profitto pari alla somma sottratta, si impossessava della somma complessiva di Euro 49.000 disponendo due bonifici a proprio favore (uno dell’importo di Euro 45.000 accreditato sul conto corrente della propria ditta individuale).
Con l’aggravante di avere agito profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la provata difesa ex art. 61 c.p., n. 5 e, nella specie, approfittando del ricovero della B. per subire un intervento.
Con l’aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità ex art. 61 c.p., n. 7.
Fatti commessi tra il (OMISSIS).
2. M.M., a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza elevando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge contestando la correttezza della qualificazione giuridica attribuita alla sua condotta, così come contestata nella imputazione, nel reato di cui all’art. 624 c.p. e art. 61 c.p., nn. 5 e 7.
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio motivazionale rappresentando che la peculiare veste della persona offesa B.C., costituitasi parte civile, doveva necessariamente incidere sulla valutazione della attendibilità del suo narrato, e ciò tanto più in ragione delle contraddizioni in cui è incorsa.
Lamenta che è stata omessa la valutazione delle prove a discarico che comprovavano lo spirito di liberalità che animava la B..
2.3. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso con il quale viene sollevata la questione dell’esatta qualificazione giuridica della condotta contestata a M.M. è fondato.
1.1. Ed invero, per come indicato nel capo di imputazione, ed accertato nel corso dei giudizi di merito, M.M. è stata delegata per iscritto dalla parte civile ad operare sul conto corrente bancario di quest’ultima e, pertanto, ha agito nella qualità di possessore in quanto le è stato concesso di disporre della cosa al di fuori della sfera di sorveglianza di quest’ultima.
La fattispecie di reato contestato va pertanto riqualificata in quella appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 5 e n. 7.
Si rammenta al riguardo che, secondo la giurisprudenza di legittimità, commette il delitto di cui all’art. 646 c.p. il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto utilizzando per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante (Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015, Rv. 265513). Ed ancora, è configurabile il reato di appropriazione indebita a carico del cointestatario di un conto corrente bancario il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza in base al criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 c.c. secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali (Sez. 2, n. 16655 del 20/04/2010, Rv. 247024).
2.Il secondo motivo è infondato.
Le censure tendono ad affermare una diversa lettura delle emergenze istruttorie e una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte distrettuale che non è consentita in questa sede, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali. Spetta infatti al giudice di merito il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti, fatto salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
Ed invero, la previsione contenuta nell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo del giudice di legittimità – il cui compito non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito – bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare l’incompiutezza strutturale della motivazione della corte di merito: incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata (Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989).
Tenendo conto dei principi sin qui rammentati, deve concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure sopra esaminate e gli atti del processo evocati nel ricorso non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso sostituire una sua visione alternativa delle risultanze probatorie acquisite.
2.1. Ed invero la Corte distrettuale, nel respingere le censure difensive tese a stigmatizzare l’attendibilità di B.C., argomentava ampiamente al riguardo rappresentando che il suo narrato non risultava animato da alcun sentimento di risentimento, di astio o di vendetta e si presentava, invece, spontaneo, logico e coerente. Veniva in proposito sottolineato che la B., con un linguaggio semplice, spesso in dialetto aveva ricostruito con chiarezza lo sviluppo della vicenda fornendo chiarimenti sui rapporti di fiducia che la legavano all’imputata, anche in considerazione dei rapporti di vicinato che l’avevano indotta (essendo vedova ed avendo solo parenti in America) a rilasciarle una delega affinchè provvedesse a riscuotere soldi ogni qualvolta ne avesse avuto necessità e non si fosse potuta recare in banca personalmente. La stessa precisava fermamente di non avere mai autorizzato il trasferimento dei suoi risparmi sul conto corrente della M. che peraltro, per come risultava da riscontri di natura documentale, erano stati effettuati, a sua insaputa, nel periodo in cui la B. era ricoverata in ospedale per un intervento chirurgico e, immediatamente dopo, venivano fatti transitare sul conto corrente del figlio.
Osservava inoltre la Corte, con argomentazioni congrue, che nel descritto contesto la generica affermazione esternata dalla B. in qualche occasione, di voler donare i suoi averi alla M., sulla quale avevano riferito i testi della difesa non giustificava in alcun modo la condotta posta in essere dalla M..
3. Va dunque dichiarata la irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità nei confronti della M. per il reato di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 5 e n. 7.
La sentenza impugnata va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio in quanto la sua rideterminazione implica valutazioni di merito, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto.
PQM
P.Q.M.
Riqualificato il reato come appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 5 e n. 7 annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2019
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