Infortunio sul lavoro: attenuante del risarcimento del danno
Avv. Marco Trasacco | Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. il risarcimento, ancorché effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall’imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. IV, sentenza 9 gennaio 2019 – 23 gennaio 2019 n. 3217 – Pres. Piccialli – Rel. Picardi).
Nel caso in questione, si trattava di un infortunio sul lavoro ove la vittima era stata risarcita dalla società assicuratrice – e, dunque, non direttamente dall’imputato – ed i Giudici di merito avevano negato il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, in quanto il risarcimento del lavoratore era avvenuto da parte degli istituti preposti alla previdenza sociale, senza alcuna valutazione della transazione tra la vittima e la compagnia di assicurazione della società datrice di lavoro, che non solo veniva allegata al ricorso, ma risultava anche prodotta in udienza.
La Corte – enunciando il principio surrichiamato – ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, rinviando ad altra Sezione della Corte di appello.
In seguito la sentenza per esteso.
SENTENZA
Cassazione penale sez. IV , – 09/01/2019, n. 3217
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –
Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere –
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –
Dott. PICARDI Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.P., nato a (OMISSIS);
G.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/01/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso;
udito il difensore:
Per i ricorrenti S. e G. è presente l’avv. Garaventa
Nicoletta del foro di Genova che chiede l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato alla pena di Euro 1000,00 di multa G.A. e S.P. per il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 590 c.p., commi 2 e 3, perchè, in qualità rispettivamente di responsabile della produzione e capoturno e, quindi, preposti, per colpa consistita nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19, comma 1, lett. f, e art. 37, comma 1, lett. b, e, cioè, nel non aver segnalato la pericolosità delle operazioni di pulizia delle macchine e nel non aver assicurato un’adeguata formazione alla persona offesa relativamente alla procedura da adottare nella pulitura della macchina a rulli, cagionavano a R.F., intento in tale operazione, un trauma da schiacciamento del piede destro, che restava incastrato tra i rulli, con frattura scomposta del calcagno, da cui derivava una malattia di 129 giorni – 23 giugno 2011.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, G.A. e S.P., che hanno dedotto 1) la violazione degli artt. 40,41 e 43 c.p., in relazione alla ricostruzione del fatto, all’affermazione circa la sussistenza del nesso di causalità e dell’elemento soggettivo e la contraddittorietà e manifesta illogicità su tali punti, risultante dal testo del provvedimento impugnato, dalla specifica procedura adottata per la pulizia delle macchine a rullo, dalle trascrizioni dell’udienza del 7 giugno 2016 e dall’atto di appello, atteso che era stata adottata una specifica procedura per la pulizia della macchina a rullo, già il 19 maggio 2011, con previsione dello svolgimento delle operazioni da parte di un solo lavoratore ed a macchina spenta, che, se fosse stata rispettata, avrebbe evitato il sinistro, verificatosi perchè la vittima ha operato mentre la macchina era funzionante, con l’aiuto di un altro operaio (più precisamente i ricorrenti hanno evidenziato una serie di condotte del lavoratore portate all’attenzione del giudice dell’impugnazione, che, però, le ha completamente ignorate, soffermandosi solo sulla carenza di formazione e sull’assenza di un’adeguata procedura di pulizia dei rulli, ritenendo erroneamente adottata successivamente al sinistro quella vigente già dal maggio 2011); 2) la violazione dell’art. 133 c.p., e art. 62 c.p., n. 6, in relazione alla quantificazione della pena, avvenuta in base a generici riferimenti alla gravità dell’infortunio, alla mancata formazione ed alle ipotizzate prassi scorrette e pericolose, ed in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante del risarcimento del danno, nonostante l’intervento dell’assicurazione della società, come da transazione conclusa in data 8 gennaio 2016 ed allegata al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Occorre premettere che, in considerazione della sospensione della prescrizione collegata alle istanze di rinvio della difesa all’udienza del 16 dicembre 2014, dell’11 marzo 2015, 15 settembre 2015, la prescrizione non è ancora maturata. In proposito va ricordato che il rinvio del processo disposto sull’accordo delle parti comporta la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 159 c.p., comma 1, n. 3), anche nel caso in cui l’accoglimento della richiesta di rinvio non sia imposto da una particolare disposizione di legge (Sez. 6, n. 51912 del 17/10/2017 ud. – dep. 14/11/2017, Rv. 271561 – 01) e che, qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale di detto difensore, il corso della prescrizione è sospeso per tutto il periodo del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione, non trovando applicazione i limiti di durata previsti dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3 (Sez. 3, n. 19687 del 21/03/2018 Ud. – dep. 07/05/2018, Rv. 273057 – 01).
2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto integra una mera riproposizione delle censure svolte in appello e prescinde completamente dalle argomentazioni dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto decisiva l’omessa formazione del dipendente R.F..
Nella sentenza impugnata si legge, difatti, che “il lavoratore prestava la propria attività presso la Terninox s.p.a. da circa 5 anni rispetto all’epoca del sinistro, ma era addetto ad altro impianto; il giorno del sinistro era stato spostato al differente macchinario senza sapere alcunché del funzionamento….. il dipendente ha riferito che non era stato istruito dai colleghi, nel senso che, per le operazioni di pulizia del macchinario in questione, seguiva ciò che vedeva fare dai colleghi”; “dalle dichiarazioni testimoniali di F.V., collega che svolgeva l’attività de qua con il R., all’udienza del 7.6.16 è risultato che: R.F. era stato spostato al macchinario in questione solo quel giorno”; “dalla deposizione del teste C.E., tecnico della prevenzione dell’ASL di (OMISSIS) all’udienza del 6.6.16, è emerso che il R. non aveva effettuato alcuna attività di formazione rispetto al funzionamento del macchinario”, sicché “la manovra posta in essere, ossia la pulizia della briglia con la macchina in movimento, non fu che l’epilogo scontato della mancanza di informazioni adeguate”, atteso che il lavoratore può percepire eventuali anomalie nella propria condotta e conseguentemente astenersene soltanto se dotato della necessaria formazione stratificata dalla consueta prassi operativa.
La censura formulata non contiene alcuna critica rispetto a tali passaggi del ragionamento svolto, che sono da soli sufficienti a sostenere il giudizio di responsabilità penale dei ricorrenti, in quanto le ulteriori argomentazioni relative all’inadeguatezza della procedura concernente la pulizia dei rulli sono meramente rafforzative ed aggiuntive, come confermato dall’incipit del successivo sviluppo della motivazione (“oltre a tale profilo di responsabilità”). Da tale premessa deriva, pertanto, l’irrilevanza di un eventuale errore – contenuto nella sentenza impugnata – sull’epoca di adozione di un’adeguata e corretta procedura per la pulizia dei rulli, che, comunque, non è stata spiegata al dipendente, vittima dell’infortunio. In proposito va, difatti, ribadito, come già affermato da Sez. 4, n. 2984 del 29/01/1992 ud. – dep. 17/03/1992, Rv. 189648, che l’eventuale errore contenuto in una delle argomentazioni della motivazione è irrilevante se il giudizio di merito sia fondato anche su elementi del tutto diversi e rispetto ai quali la motivazione non appare viziata. A ciò si aggiunga che ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.
Va, infine, sottolineato che, in tema di sicurezza sul lavoro, il preposto assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative “contra legem” (Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015 ud. – dep. 02/02/2016, Rv. 265977 – 01), e che non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015 ud. – dep. 28/05/2015, Rv. 263497 – 01). Alla luce di tali principi va ribadita la irrilevanza del momento in cui è stata adottata la corretta procedura per la pulitura della macchina a rulli, tenuto conto che dall’istruttoria è emersa l’instaurazione di una prassi difforme e pericolosa.
Solo per completezza va evidenziato che nella sentenza di primo grado è stata specificamente affrontata e risolta in senso positivo, con indicazione delle relative deleghe, la questione dell’attribuzione ai preposti G. e Sc. poteri specifici di formazione dei lavoratori, che, nel caso di specie, peraltro, non esigevano nè particolari competenze nè autonomia di spesa, risolvendosi nella mera necessità di assicurare ai lavoratori adeguate istruzioni e spiegazioni sulle macchine utilizzate e sulle relative procedure da seguire.
3. Il secondo motivo è in parte fondato.
Mentre la quantificazione della pena e l’allontanamento dal minimo edittale è stata adeguatamente giustificata in considerazione della gravità della condotta e del danno, il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, è stato fondato sull’avvenuto risarcimento del lavoratore da parte degli istituti preposti alla previdenza sociale, senza alcuna valutazione della transazione tra la vittima e la compagnia di assicurazione della società datrice di lavoro, che non solo è stata allegata al presente ricorso, ma risulta prodotta all’udienza del 2 febbraio 2016, in cui è stata dichiarata l’apertura del dibattimento del giudizio di primo grado. Va, difatti, ricordato che, ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, il risarcimento, ancorchè effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall’imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018 Ud. – dep. 18/05/2018, Rv. 273587 – 01).
4.In conclusione, la sentenza va annullata limitatamente al punto concernente l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, di cui il giudice del rinvio valuterà la sussistenza dei presupposti alla luce della documentazione allo stato non esaminata. Per completezza va ricordato che nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento parziale della sentenza per mancato riconoscimento di una circostanza attenuante è impedita la declaratoria della prescrizione, essendosi ormai formato il giudicato sulla affermazione di responsabilità (tra le tante in questo senso v. Sez. 3, n. 19690 del 03/04/2013 ud. – dep. 08/05/2013, Rv. 256377 – 01), in quanto incidono sul computo dei termini di prescrizione solo le aggravanti che stabiliscono una pena di specie diversa e quelle ad effetto speciale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta i ricorsi nel resto.
Visto l’art. 624 c.p.p., dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità degli imputati.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019
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