Legittima la querela del direttore della banca in cui si è consumata la truffa
Avv. Marco Trasacco | In tema di truffa, la responsabile della filiale di banca, la quale ha esposto di essersi personalmente occupata della transazione, deve considerarsi persona offesa e dunque titolare in proprio di un autonomo diritto di querela in quanto responsabile, in quel frangente, delle attività dell’istituto bancario e delle eventuali conseguenze pregiudizievoli per l’interesse dell’ente da lei rappresentato (Cassazione penale sez. II 15 giugno 2018 n. 39069).
La Suprema Corte si pronuncia in ordine alla validità della querela presenta dal direttore di una filiale bancaria.
In tema di individuazione della persona offesa, cui compete il diritto di querela, deve intendersi tale il soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell’interesse penalmente protetto. Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati, appunto, con riferimento alla titolarità del bene giuridico protetto.
Già in passato, la Corte ha avuto modo di precisare che, in tema di furto, sono stati ritenuti legittimati in proprio a proporre querela per furto in un supermercato sia il direttore che il commesso, posto che la qualità di persona offesa compete, in simile evenienza, non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita ed anche le SS.UU. hanno affermato che nei reati contro il patrimonio il bene giuridico protetto va individuato anche nel possesso inteso come relazione di fatto con la cosa.
In seguito la sentenza per esteso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirella – Presidente –
Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere –
Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A.R – Consigliere –
Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.R., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17 ottobre 2017 della corte d’appello di
Firenze;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIA DANIELA BORSELLINO;
sentite le conclusioni del PG inammissibilità e dell’avv. Andreucci
che insiste nei motivi e chiede che la corte valuti l’eventuale
prescrizione del reato.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze, accogliendo l’impugnazione del Procuratore generale avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Livorno il 16 dicembre 2014, con la quale l’imputato era stato prosciolto dal reato di truffa in danno dell’istituto bancario, ascrittogli in concorso, per mancanza della condizione di procedibilità, ha ritenuto la querela in atti validamente sporta dal responsabile della filiale della (OMISSIS) e affermato la responsabilità del M., condannandolo per l’effetto alla pena di sei mesi di reclusione ed Euro 100 di multa.
2. Avverso la detta sentenza propone ricorso l’imputato tramite il suo difensore di fiducia deducendo:
2.1 violazione dell’art. 120 c.p., e art. 337 c.p.p., n. 3, sul rilievo che la corte d’appello ha ritenuto la querela sporta dalla Mo., nella qualità di responsabile della filiale della (OMISSIS), valida, pur essendo la stessa priva di potere di rappresentanza, in forza del principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, che con la sentenza numero 40354 del 2013, hanno ritenuto legittimato a sporgere querela per il reato di furto anche chi abbia la materiale disponibilità della cosa.
Applicando acriticamente questo principio di diritto alla fattispecie della truffa la corte territoriale avrebbe trascurato di considerare che viene addebitato all’imputato il delitto di truffa; che vi è sostanziale differenza tra il furto e la truffa, poichè nel furto l’attenzione si concentra sulla cosa altrui mentre nella truffa sul danno altrui e quindi la querela spetta al soggetto danneggiato che non sempre coincide con il soggetto ingannato. Nel caso in esame il responsabile di una filiale di un istituto di credito non ha alcuna contiguità materiale con il denaro della banca, mentre è ovvio che la persona offesa dal reato è chi ha subito il danno patrimoniale e non il soggetto ingannato.
Il ricorrente ribadisce, pertanto, che la querela per il reato di truffa sporta in nome della persona giuridica deve contenere la indicazione specifica della fonte dei poteri di rappresentanza, in forza di quanto previsto dall’art. 337 c.p.p..
2.2 Violazione degli artt. 546 e 605 c.p.p., e vizio di motivazione, poichè la corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato sul perchè il principio di diritto formulato dalle Sezioni unite in relazione alla fattispecie di furto, possa trovare applicazione nell’ambito della diversa ipotesi di truffa, nella quale non sussiste alcuna questione di possesso penalistico o di contiguità con la cosa.
2.3 Violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 640 c.p., e art. 62 c.p., n. 4, poichè la truffa sussiste in quanto vi è un ingiusto profitto e un altrui danno procuratosi con artifizi e raggiri, mentre aprire un conto corrente con l’intento di smerciare assegni a vuoto non costituisce una truffa nei confronti dell’istituto poichè mancano gli artifizi e raggiri e soprattutto è carente il danno patrimoniale che è l’evento del reato di truffa.
In ogni caso il danno patrimoniale si configura come lieve e avrebbe dovuto essere riconosciuta la relativa attenuante.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1 Il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia ritenuto valida la querela sporta dalla responsabile della filiale della banca presso la quale l’imputato aveva aperto un conto corrente, facendo riferimento al principio di diritto esposto nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n.40354 del 18/7/2013, in materia di furto, ma la censura è infondata poichè il collegio di secondo grado ha fatto buon governo dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
Vero è che “Ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato di truffa, dell’individuazione dell’interesse tutelato e conseguentemente del titolare di detto interesse, è la diminuzione patrimoniale, cui corrisponde il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente, e cioè l’aspetto finalistico e non quello strumentale (induzione in errore) della condotta; pertanto, essendo il soggetto passivo del reato colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione truffaldina, la querela proposta dalla persona ingannata, in caso di non coincidenza fra indotto in errore e danneggiato, è priva di ogni effetto. (Sez. 2, n. 10259 del 13/07/1993 – dep. 12/11/1993, Cerello, Rv. 19586901)v. anche 17636/2018 del 6/3/2018).
Ma nel tempo questa Corte, in ripetute circostanze, ha avuto modo di affermare, in tema di individuazione della persona offesa, cui compete il diritto di querela, che deve intendersi tale il soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell’interesse penalmente protetto. Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati, appunto, con riferimento alla titolarità del bene giuridico protetto.
In tema di furto, conclusioni simili sono state raggiunte allorchè sono stati ritenuti legittimati in proprio a proporre querela per furto in un supermercato sia il direttore che il commesso, posto che la qualità di persona offesa compete, in simile evenienza, non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita (cfr. Sez. 4, n. 37932 del 28/09/2010, Rv. 248451). Ed anche le SS.UU. di questa Corte, nella pronunzia richiamata dal collegio di appello, hanno affermato (cfr. S.U. n 40354 del 18/07/2013, Rv. 255975) che nei reati contro il patrimonio il bene giuridico protetto va individuato anche nel possesso inteso come relazione di fatto con la cosa.
Facendo corretta applicazione di questi principi, più recentemente questa sezione ha avuto modo di precisare che “Il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all’addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice” (Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016 – dep. 29/11/2016, P.M. in proc. Filannino, Rv. 26838201).
In senso analogo è stato ribadito che “Il diritto di querela per il delitto di truffa spetta anche al gestore dell’esercizio commerciale che, indipendentemente dalla formale investitura dei poteri di rappresentanza legale da parte dell’impresa fornitrice i beni oggetto del reato, li abbia commercializzati in nome e per conto della stessa, assumendosi in prima persona la responsabilità di qualsivoglia operazione inerente alla vendita del prodotto medesimo.” (Sez. 2, n. 37012 del 30/06/2016 – dep. 06/09/2016, Miari, Rv. 26791401).
Ne consegue che, in tema di truffa, la responsabile della filiale di banca, la quale ha esposto di essersi personalmente occupata della transazione, debba considerarsi persona offesa e dunque titolare in proprio di un autonomo diritto di querela in quanto responsabile, in quel frangente, delle attività dell’istituto bancario e delle eventuali conseguenze pregiudizievoli per l’interesse dell’ente da lei rappresentato.
2.2 In merito al secondo motivo di censura va ricordato che non sono denunciabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza impugnata con riferimento ad argomentazioni giuridiche delle parti, in quanto, se il giudice ha errato nel non condividerle, si configura il diverso motivo della violazione di legge, mentre, se fondatamente le ha disattese, non ricorre alcuna illegittimità della pronuncia, anche alla luce della possibilità, per la Corte di cassazione, di correggere la motivazione del provvedimento ex art. 619 c.p.p., (Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 – dep. 26/10/2017, Emmanuele, Rv. 27145101).
Il motivo di ricorso è pertanto infondato poichè la corte ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, anche se l’iter argomentativo non è stato adeguatamente esplicativo.
2.3 Anche il terzo motivo di ricorso con cui si lamenta la carenza di artifizi e raggiri e del danno non può trovare accoglimento poichè non si confronta con le argomentazioni della corte territoriale, la quale ha evidenziato che la Mo. è stata indotta ad aprire il conto corrente in favore dell’imputato in ragione di una telefonata da cui emergeva l’esistenza di bonifici ordinati in favore del M., il che integra i raggiri richiesti dalla fattispecie.
Quanto al danno non va trascurato che dalla sentenza emerge che M. aveva utilizzato il carnet di assegni rilasciato in suo favore.
Giova comunque ricordare che in tema di truffa contrattuale, il danno patrimoniale non è necessariamente costituito dalla perdita economica di un bene subita dal soggetto passivo, ma può consistere anche nel mancato acquisto di un’utilità economica che quest’ultimo si riprometta di conseguire in conformità alle false prospettazioni dell’agente dal quale sia tratto in errore. (Sez. 2, n. 37859 del 22/09/2010 – dep. 25/10/2010, Bologna e altro, Rv. 24890801) e nel caso in esame è evidente che la direttrice della filiale non avrebbe aderito alla proposta contrattuale se fosse stata consapevole della inesistenza dei bonifici in favore dell’imputato.
Non va peraltro trascurato che con riferimento ad un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio è stato recentemente affermato che l’ottenimento con generalità false dell’apertura di un conto corrente bancario può costituire ingiusto profitto con correlativo danno della banca costituito dalla sostanziale assenza della benchè minima garanzia di affidabilità del correntista, atteso che la disponibilità di un conto corrente bancario dà la possibilità di emettere assegni oltre che di fruire di tutti gli altri servizi connessi all’esistenza del rapporto in questione. (Sez. 2, n. 44379 del 25/11/2010 – dep. 16/12/2010, Celano, Rv. 24917001).
Il ricorrente non ha mai specificamente chiesto il riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità e non può avanzare tale richiesta per la prima volta in questa sede, poichè la stessa presuppone una valutazione di fatto che non compete a questa corte.
Anche la richiesta di dichiarare prescritto il reato è infondata poichè il reato è stato commesso il 20 maggio 2010 e al termine ex artt. 157 e 161 c.p., di anni sette e mesi sei, devono aggiungersi le sospensioni del detto termine dal 13/1/2014 al 24/6/2014 per adesione del difensore all’astensione e dal 17/7/17 al 17/10/2017 su richiesta della difesa, per complessivi mesi otto e giorni 10. Pertanto il termine di prescrizione maturerà non prima del 20 luglio 2018.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2018
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