È colpevole la madre che non rispetta l’ordine di far vedere la figlia al padre “quando vuole”?

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In tema di affidamento dei figli minori, l ’art. 388 del codice penale punisce soltanto quelle condotte che costituiscano consapevole elusione del provvedimento del giudice, ovvero quei comportamenti che rendano vane le legittime pretese altrui. Ciò non si realizza necessariamente con ogni violazione formale delle prescrizioni poste dall’Autorità Giudiziaria (Sentenza n. 1748 del 14 settembre 2017 della VI Sezione Penale della Corte di Cassazione).

Il caso: il Presidente del Tribunale di Roma, in sede di giudizio di separazione, aveva riconosciuto ad un padre il diritto di fare visita alla figlia presso l’abitazione materna “quando vuole” e proprio la vaghezza e la genericità di tale prescrizione aveva reso i rapporti tra i coniugi maggiormente conflittuali, soprattutto in considerazione del fatto che il padre della bambina, approfittando della situazione, comunicava quando intendeva recarsi dalla minore presso l’abitazione della madre senza concordare nulla con quest’ultima.

Secondo la Corte di merito, la madre, anche in presenza di effettive proprie esigenze di lavoro e familiari, si sarebbe, tuttavia, sottratta agli obblighi assunti.

La Corte di Cassazione, invece, dopo aver chiarito i presupposti per l’integrazione della fattispecie penale per cui è causa, ha accolto il ricorso dell’imputata censurando la motivazione della Corte di Appello ritenendola apparente.

In particolare, ha ribadito che “…integra una condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, rilevante ai sensi dell’art. 388 c.p., comma 2, anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione…”

“Eludere” significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione; il genitore affidatario è tenuto a favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore.

Ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo (in tal senso, Sez. 6, n. 12391 del 18/03/2016, M. Rv. 266675; Sez. 6, n. 27995, del 05/03/2009, Fichera, Rv. 244521).

La Cassazione, poi, ha ritenuto che “nel caso di specie, la Corte di merito non ha correttamente valutato gli elementi fattuali a sua disposizione, non ha fornito una corretta interpretazione di essi, non ha dato una completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, nè ha esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre“.

La sentenza per esteso


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente –
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere –
Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere –
Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.F., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 04/07/2016 dalla Corte di Appello di
Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Giuseppina Fodaroni
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile, Avv. Ferdinando Tota, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputata, Avv. Maria Elena Sacchi che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale ha condannato C.F. alla pena di giustizia per il reato previsto dall’art. 388 c.p., comma 2, ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, P.E..

A C.F. è contestato di aver reiteratamente eluso il provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma, emesso nell’ambito del giudizio di separazione con P., avente ad oggetto l’affidamento condiviso della figlia minore nata dal matrimonio; la condotta sarebbe consistita nell’aver impedito senza giustificato motivo al padre di “prelevare” la bambina nel periodo delle festività natalizie del 2009 e durante le festività pasquali del 2010, nonchè in altre occasioni.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata articolando due motivi, con i quali deduce rispettivamente violazione di legge in relazione all’art. 388 c.p., comma 2, e vizio di motivazione.

Si sostiene che il riconoscimento da parte della Corte di merito delle esigenze di lavoro e di salute che avrebbero, almeno in alcune occasioni, impedito alla imputata di osservare il contenuto del provvedimento obiettivamente generico emesso dal Presidente del Tribunale di Roma e di garantire quindi il diritto di visita del padre, avrebbe dovuto condurre a non ritenere elusivo il comportamento della ricorrente, atteso che la condotta del reato in questione non coincide con la mera inosservanza della prescrizione imposta; in tal senso si evidenzia la contraddittorietà della motivazione.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.

2. Dalla sentenza impugnata emerge che il Presidente del Tribunale di Roma, in sede di giudizio di separazione, aveva riconosciuto a P.E. il diritto di fare visita alla figlia presso l’abitazione materna “quando vuole” e proprio la vaghezza e la genericità di tale prescrizione aveva reso i rapporti tra i coniugi maggiormente conflittuali, soprattutto in considerazione del fatto che il padre della bambina, approfittando della situazione, comunicava quando intendeva recarsi dalla minore presso l’abitazione della C. senza concordare nulla con quest’ultima.

Questa situazione si era protratta fino al 02/07/2010, quando lo stesso Presidente del Tribunale di Roma, accortosi della situazione creatasi, aveva modificato il precedente provvedimento, revocando l’incondizionato diritto di visita che aveva acuito i rapporti fra i genitori della bambina.

Secondo la Corte di merito, inoltre, C., anche in presenza di effettive proprie esigenze di lavoro e familiari, si sarebbe, tuttavia, sottratta agli obblighi assunti.

Dunque, da una parte, P. avrebbe approfittato della situazione di obiettivo vantaggio derivante dal provvedimento del Presidente del Tribunale, e, dall’altra, C., nonostante effettive “esigenze di lavoro e familiari”, si sarebbe sottratta dagli obblighi assunti.

Per giungere ad affermare la responsabilità penale dell’imputata si è inoltre valorizzata la circostanza che, in occasione “del periodo di Pasqua”, C. si recò in ospedale perchè la bambina “aveva la tosse”, così sottraendosi all’obbligo impostole, mentre, “in altri giorni”, sarebbero state inviate dalla imputata alcune mail con cui questa comunicò all’ex coniuge di doversi recare a Recanati in un determinato periodo “ben sapendo che il coniuge aveva indicato” una certa data “per stare con la figlia” (così testualmente la Corte di Appello).

Durante le feste natalizie del 2009, ancora, a donna sarebbe stata nelle Marche per ragioni di salute ma questo comportò comunque “l’impedimento del padre per ben 15 giorni”, mentre in altre occasioni la bambina sarebbe stata in casa in compagnia di una baby sitter ma al padre sarebbe stato impedito il diritto di visita.

3. Il ricorso dell’imputata pone a proprio fondamento giustificativo: a) la vaghezza e genericità del provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma che avrebbe reso sostanzialmente impossibile l’adempimento della prescrizione imposta, b) il riconoscimento da parte della stessa Corte d’appello che in numerose occasioni P. non riuscì a far visita alla figlia a causa degli effettivi impedimenti di salute e di lavoro dell’imputata.

Da tali dati di presupposizione si fa discendere la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza; sarebbe stato riconosciuto che P. aveva approfittato della situazione e che in alcune numerose occasioni il diritto di visita era stato impedito dall’imputata per effettive ragioni di lavoro e di famiglia, ma, nondimeno, si è affermata la responsabilità penale di C. per essersi questa “comunque” sottratta agli obblighi imposti.

4. La Corte di cassazione ha in più occasioni affermato che integra una condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, rilevante ai sensi dell’art. 388 c.p., comma 2, anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione.

“Eludere” significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione; il genitore affidatario è tenuto a favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perchè entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore.

Ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo (in tal senso, Sez. 6, n. 12391 del 18/03/2016, M. Rv. 266675; Sez. 6, n. 27995, del 05/03/2009, Fichera, Rv. 244521).

Il tema non è, tuttavia, se anche il mero rifiuto assuma rilievo ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 388 c.p., comma 2, quanto, piuttosto, se nella specie vi sia stato un atto di rifiuto, considerato che il termine rifiuto denota una espressa manifestazione, che può assumere una qualsiasi forma, di non compiere ciò che è esplicitamente o implicitamente richiesto.

5. Nel caso di specie, la Corte di merito non ha correttamente valutato gli elementi fattuali a sua disposizione, non ha fornito una corretta interpretazione di essi, non ha dato una completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, nè ha esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

La motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria nella parte in cui, pur prendendo atto della obiettiva genericità del provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma, della situazione di approfittamento da parte di P.E. della dannosa genericità di quel provvedimento, del comportamento abusivo di P. che “quando intendeva recarsi a visitare la figlia non “chiedeva” (così testualmente la sentenza della Corte di Appello), ha tuttavia ritenuto che nella specie vi sia stata elusione da parte dell’imputata.

La motivazione è assertiva, silente, apparente perchè non chiarisce quale fosse il limite di esigibilità del comportamento della C., se, cioè, rispetto alla condotta contestata all’imputata, fosse davvero irrilevante che il Presidente del Tribunale di Roma avesse attribuito un diritto rimesso all’arbitrio incondizionato di P., e se, davanti all’abuso di P., fosse legittima l’alternativa della C. di consentire a tempo indeterminato l’abuso dell’ex coniuge ovvero di commettere il reato poi contestatole.

C., per adempiere a quel provvedimento, avrebbe dovuto essere perennemente a disposizione dell’ex coniuge, non avrebbe potuto mai allontanarsi dalla propria abitazione perchè ciò avrebbe comportato sempre l’ineliminabile rischio di sottrarsi alla richiesta incondizionata e non previamente concordata di P. di fare visita alla bambina.

Non diversamente, la motivazione è anemica, contraddittoria, manifestamente illogica nella parte in cui, pur riconoscendo che in alcune occasioni l’incondizionato diritto di visita al P. non fu assicurato perchè C. dovette recarsi al Pronto Soccorso in ospedale con la bambina ovvero perchè dovette allontanarsi per ragioni di salute o di lavoro, tuttavia qualifica la condotta dell’imputata in termini di elusione.

Anche in tal caso, davanti ad un provvedimento vuoto e generico come quello del Presidente del Tribunale, l’imputata per evitare di commettere il reato contestatole, doveva in ogni momento, ogni giorno, essere a disposizione dell’arbitrio di P. e non potesse mai allontanarsi dalla propria abitazione, per qualsiasi ragione, neanche per recarsi in ospedale con la bambina.

Il ragionamento probatorio compiuto dalla Corte di merito è viziato nella sua tenuta e la sentenza deve quindi essere annullata con rinvio per un nuovo esame; la Corte di merito, motivando in maniera non sbrigativa, chiarirà i punti indicati e verificherà se ed in che limiti il comportamento della imputata sia sussumibile nell’ambito della fattispecie di reato contestata.

PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018

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Avv. Marco Trasacco
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Ho approntato, nel corso degli anni, consulenza e difesa nell’ambito di procedimenti penali inerenti a varie materie. Svolgo la mia professione con zelo e dedizione e la mia soddisfazione è riuscire a guadagnare la fiducia dei clienti. Sono iscritto nelle liste dei difensori abilitati al gratuito patrocinio. Non esitate a contattarmi per qualsiasi informazione.

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