Maltrattamenti: è necessaria una condotta di vessazione continuativa che deve costituire fonte di un disagio continuo

Studio Legale Trasacco & Pecorario Tempo di lettura stimato: 5 minuti
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Per l’integrazione del delitto di cui all’art. 572 c.p., è necessaria una condotta di vessazione continuativa, che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di “calma”, deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita, poiché altrimenti deve escludersi l’abitualità del comportamento, implicita nella struttura normativa della fattispecie, ed i singoli fatti che ledono o mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia conservano la propria autonomia di reati contro la persona.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CONTI Giovanni – Presidente –
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere –
Dott. GIORDANO Anna Emilia – Consigliere –
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di
Genova;
nei confronti di:
B.G., nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 01/04/2016 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Dott. DI LEO Giovanni, che ha concluso chiedendo
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito, per la parte civile, l’avvocato Simone Sabattini, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avvocato Monica Tranfo, che ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 1 aprile 2016, la Corte di appello di Genova, in riforma della decisione pronunciata in primo grado dal Tribunale di Genova, ha assolto B.G. dall’accusa relativa al reato di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie, contestato come commesso tra il (OMISSIS), mediante spinte, percosse anche produttive di lesioni, ingiurie e comportamenti umilianti, perchè il fatto non sussiste, e ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo per il reato di lesioni personali, per essere detto reato estinto per remissione di querela.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova, esponendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all’art. 572 c.p., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia.
Si deduce che la sentenza impugnata è pervenuta ad una decisione di assoluzione ritenendo l’insussistenza di un rapporto di stabile convivenza tra l’imputato e la persona offesa, trascurando l’esistenza del vincolo matrimoniale tra i due e la sicura verificazione di significativi periodi di convivenza tra i medesimi. Tale conclusione si pone in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità della convivenza anche nel caso di un rapporto familiare di mero fatto, o comunque quando è cessata la convivenza, se permane il vincolo di coniugio o di filiazione.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla configurabilità e sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia.
Si deduce che la sentenza esclude l’effettività di una stabile convivenza pur dando conto del rapporto di coniugio e dell’esistenza di una relazione sentimentale ed affettiva tra imputato e persona offesa. La pronuncia, inoltre, è illogica, quando valorizza in una prospettiva assolutoria l’andamento altalenante nel tempo delle dichiarazioni della persona offesa: trattasi di comportamento tipico del denunciante del reato di maltrattamenti in famiglia. Ancora, il giudice di appello ha violato l’obbligo di motivazione rafforzata, necessaria, atteso il “ribaltamento” della decisione di primo grado.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Occorre premettere che, indubbiamente, è corretta l’osservazione contenuta nel ricorso, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, l’esistenza di un vincolo matrimoniale esclude la necessità della sussistenza di un rapporto di stabile convivenza tra autore e vittima, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tantissime, Sez. 2, n. 30934 del 23/04/2015, Trotta, Rv. 264661; Sez. 2, n.; Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, C. Rv. 262078).
3. Tuttavia, per l’integrazione del delitto di cui all’art. 572 c.p., come evidenziano numerose pronunce, è necessaria una condotta di “vessazione” continuativa, che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di “calma”, deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita, poichè altrimenti deve escludersi l’abitualità del comportamento, implicita nella struttura normativa della fattispecie, ed i singoli fatti che ledono o mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia conservano la propria autonomia di reati contro la persona (cfr., per tutte, Sez. 6 n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv 226794).
3.1. Nella vicenda in esame, la sentenza impugnata ritiene, innanzitutto, l’insussistenza di un rapporto di “predominanza” di un partner sull’altro e di una situazione di “vessazione” della vittima. Rappresenta poi così l’evoluzione dei rapporti: dopo i primi contrasti, fu l’imputato, e non la persona offesa, a chiedere la separazione nella primavera del 2012; fu, invece, quest’ultima a decidere di abbandonare Bologna, di raggiungere il marito a Genova e di convivere con lo stesso. Successivamente, sempre nel corso del 2012, la donna ritornò a Bologna, nel monolocale appena acquistatole dai genitori ed ospitò presso di sè un’amica, così da impedire al marito di convivere; quindi, iniziò ad uscire da sola con amici, dicendo di non essere ancora pronta al matrimonio, pur essendo sposata, tanto da indurre il coniuge a ritornare da solo a Genova, e a trasferirsi in un albergo. Infine, dopo tali fatti, la persona offesa continuò a cercare il marito, portandogli piccoli doni, fotografie, fiori, e cibi, per convincerlo a tornare con lei, ma l’uomo rimase fermo nella propria scelta di porre fine al rapporto.
E’ in questo contesto che si sono verificati le percosse e le condotte altrimenti offensive dell’onore della vittima.
3.2. Stante la necessità, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, di una condotta di “vessazione” continuativa, la decisione di assoluzione risulta corretta.
Le osservazioni esposte dalla Corte d’appello in ordine all’assenza di “vessazione” risultano immuni da vizi, anche nel procedimento logico di accertamento e ricostruzione dei fatti. I giudici di secondo grado, in effetti, evidenziano l’esistenza di un rapporto tra ricorrente e persona offesa nel cui ambito, da un lato, quest’ultima ha assunto atteggiamenti indicativi dell’assenza di stabili condizionamenti da parte del primo, come quelli costituiti dall’ospitare un’amica e tenere fuori casa il marito, o dal frequentare liberamente persone alle quali diceva di non essere ancora pronta al matrimonio nonostante fosse sposata, e, dall’altro, è stato per ben due volte l’imputato a voler porre fine al legame di coniugio, la seconda volta restando fermo nel suo proposito nonostante le insistenze della moglie. Le condotte dell’imputato, quindi, vengono assunte, in modo non manifestamente illogico, come azioni sicuramente illecite, integranti percosse ed umiliazioni in danno della persona offesa, ma prive del connotato dell’abitualità, in quanto verificatesi nell’ambito di un rapporto conflittuale, e di volta in volta commesse quale (abnorme) reazione occasionata da specifici comportamenti posti in essere da quest’ultima; perciò, non come espressione della volontà di determinare nella vittima un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita.
I fatti come ricostruiti dalla sentenza impugnata, in altri termini, non risultano sussumibili nel reato di maltrattamenti in famiglia, ma integrano distinti episodi di percosse, di lesioni, ed eventualmente di diffamazione, non perseguibili per difetto o rimessione accettata di querela.
4. Alla complessiva infondatezza delle doglianze, segue il rigetto del ricorso. In considerazione di quanto previsto dall’art. 616 cod. proc. pen., essendo il ricorrente una parte pubblica, non si dispone condanna dello stesso al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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