Maltrattamenti: il reato è integrato anche quando le condotte violente e sopraffattrici sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni
Il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l’unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente –
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.F., n. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di ROMA in data 27/05/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. SPINACI Sante, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. S. Steri, che ha
chiesto accogliersi il ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27/05/2015, depositata in data 16/06/2015, la Corte d’appello di ROMA confermava la sentenza del GUP del medesimo tribunale del 19/09/2014 che aveva condannato il P.F., in esito al giudizio abbreviato, alla pena di 4 anni di reclusione per i reati di maltrattamenti aggravati, lesioni personali volontarie e violenza sessuale commessi in danno della convivente e, limitatamente al reato sub a), anche ai danni dei figli minori, in relazione a fatti contestati come commessi, quello sub a), fino all'(OMISSIS), quello sub b), il (OMISSIS) e infine, quello sub d), il (OMISSIS).
2. Ha proposto ricorso P.F., a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui ha dedotto quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’art. 572 c.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza, in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero considerato che i rapporti della p.o. con il reo erano stati sereni fino alla fine del 2013 e che da tale data i motivi di attrito sarebbero consistiti nella mancata disponibilità della donna ad assecondare i desideri sessuali del coniuge; inoltre, in data 24/04/2014 il ricorrente era stato ristretto in carcere e, quindi, era impossibilitato a qualsiasi contatto con la p.o.; le condotte si sarebbero esaurite in un limitato arco temporale e non avrebbero raggiunto la qualificazione di maltrattamenti; apodittica sarebbe poi la motivazione quanto alla valutazione di attendibilità della teste Pa. che, invece, non avrebbe assistito ad alcun episodio ed aveva quindi conoscenza dei fatti sulla base delle dichiarazioni della p.o.; la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni della p.o. che aveva definito l’imputato come “padre modello” nè del fatto che il comportamento di quest’ultimo presentava aspetti autolesionisti accompagnati da dichiarazioni di amore verso la convivente e recriminazioni per il mancato congiungimento fisico con quest’ultima; ancora sarebbe apodittica la motivazione sull’incidenza dei rapporti sessuali in relazione alla fattispecie dei maltrattamenti, nonostante fosse stato censurato nell’atto di appello che il delitto di cui all’art. 572 c.p., doveva ritenersi assorbito nel delitto di violenza sessuale; la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che gli atti coercitivi e di violenza morale erano ispirati da motivazioni di carattere sessuale e quindi si esaurivano nei limiti necessari a costringere la p.o. ad avere rapporti sessuali; infine, non si sarebbe alcuna prova della concreta lesioni dell’integrità psichica dei figli.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla valutazione dev’attendibilità della p.o..
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza, in quanto, sostiene il ricorrente, è pacifico che tra p.o. e imputato vi è stata una relazione ininterrottamente protrattasi per oltre venti anni con la nascita di figli e con rapporti sessuali consenzienti; i giudici non avrebbero spiegato i limiti del narrato dalla p.o., determinatasi a denunciare il marito solo a distanza di mesi nè avrebbero chiarito le circostanze temporali in cui l’episodio si sarebbe verificato, i giudici, inoltre, non avrebbero considerato la possibilità che dietro le accuse potevano esservi intenti vendicativi per l’asserito atteggiamento autoritario o ancora un pretesto per separarsi dal coniuge; nella valutazione di attendibilità si sarebbero trascurate le manifestazioni di risentimento che la p.o. aveva espresso nei confronti dell’imputato;
infine, i giudici non avrebbero spiegato se il profondo stato psicologico di sconforto potesse aver portato la p.o. a formulare accuse non veritiere o strumentalizzare episodi sessuali in realtà consenzienti.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’art. 609 bis c.p., u.c..
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza, in quanto, sostiene il ricorrente, la violenza sessuale non è avvenuta tramite un rapporto completo, ma si sarebbe esaurita con un unico atto sessuale consistito nella masturbazione dell’uomo; sebbene non dedotta nell’atto di appello, la Corte d’appello, in applicazione dell’art. 597 c.p.p., comma 5, avrebbe ufficiosamente potuto riconoscere l’attenuante della minore gravità; non vi sarebbe quindi motivazione in ordine al diniego dell’attenuante, laddove è “presumibile” dalle dichiarazioni della p.o. che la condotta del reo avesse attentato in modo non grave e non invasivo alla sfera sessuale soggettiva della vittima.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione al diniego dell’art. 62 bis c.p., ed all’eccessività della pena per i reati riconosciuti in continuazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza, in quanto, sostiene il ricorrente, non vi sarebbe alcuna motivazione sulle circostanze dell’azione e sullo stato personale e psicologico dell’imputato, sulla cui base si chiedevano le attenuanti generiche;
non sarebbero stati valutati gli elementi di cui all’art. 133 c.p., nè indicate le ragioni ostative al riconoscimento dell’art. 62 bis c.p.; la pena irrogata sarebbe eccessiva non tenendosi conto del movente dell’azione, quale la profonda disperazione per la mancata reciprocità affettiva con la moglie e l’assenza di qualsiasi spiegazione da parte della p.o. sulle case del rifiuto a compiere atti sessuali e l’intento di separarsi; non si sarebbe tenuto conto degli elementi a favore (incensuratezza e presa di coscienza degli errori commessi; limitata gravità delle condotte lesive; assenza di pericolosità del reo; assenza di carichi pendenti); non vi sarebbe, infine, motivazione circa le ragioni poste a base del trattamento sanzionatorio, avendo i giudici di merito impiegato argomenti apodittici.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile per genericità e, comunque, manifesta infondatezza.
4. Ed invero, deve anzitutto premettersi che il ricorso presenta evidente vizio di aspecificità, in quanto non si confronta minimamente con le argomentazioni dettagliate ed immuni da vizi logici della sentenza d’appello, il cui contenuto s’integra reciprocamente con quella di primo grado. Il primo, il secondo ed il quarto motivo, infatti, si limitano a riproporre le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame, perdipiù risultando carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
5. In ogni caso, come anticipato, i motivi si appalesano manifestamente infondati per le seguenti ragioni.
5.1. Quanto al motivo sub 1) con cui si attinge la decisione impugnata per aver confermato la responsabilità del ricorrente per il reato di maltrattamenti, il ricorso si risolve in una chiara manifestazione di dissenso e nel malcelato tentativo di rilettura degli elementi probatori acquisiti, con l’obiettivo di giustificare il comportamento violento dell’uomo verso la moglie ed i figli; la Corte d’appello spiega chiaramente invece a pag. 3 le ragioni della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p., con motivazione del tutto congrua rispetto ai dati processuali oggetto di apprezzamento e scevra da cedimenti logici, cui si rinvia integralmente per esigenze di economia motivazionale e non essendo del resto richiesto nè imposto a questa Corte di ripercorrere le argomentazioni giustificative dei giudici di merito che imporrebbero alla Corte di legittimità una ricognizione degli elementi di fatto oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito, ciò che fuoriesce dall’ambito cognitivo del giudice di legittimità. Nessun dubbio, poi, sulla corretta applicazione dei principi di diritto più volte affermati da questa Corte in ordine alla configurabilità del reato di maltrattamenti anche in caso di condotte alternate a periodi di normalità. Ed invero, è stato più volte affermato che il delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l’unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poichè le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (Sez. 6, n. 15147 del 19/03/2014 – dep. 02/04/2014, P, Rv. 261831; Sez. 6, n. 8396 del 07/06/1996 – dep. 12/09/1996, Vitiello, Rv. 205563).
Analogamente corretta è la motivazione sviluppata dalla Corte territoriale quanto al concorso tra il delitto di maltrattamenti e quello di violenza sessuale a pag. 4, avendo i giudici chiarito – in linea con la giurisprudenza di questa Corte – che fosse configurabile il concorso formale tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di violenza sessuale poichè la condotta integrante il reato di cui all’art. 572 c.p., non si era esaurita negli episodi di violenza sessuale, ma si era inserita in una serie d’atti vessatori e percosse tipici della condotta di maltrattamenti (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 46375 del 12/11/2008 – dep. 17/12/2008, C., Rv.
241798; Sez. 1, n. 13349 del 17/05/2012 – dep. 21/03/2013, D., Rv.
255051).
Infine, quanto alla irrilevanza dei motivi dell’azione su cui il ricorrente fonderebbe la pretesa insussistenza dell’elemento psicologico del delitto de quo, è sufficiente qui osservare che lo stato di nervosismo o, come nella specie, la recriminazione del ricorrente per il mancato congiungimento carnale con la moglie, tanto più se costante, non escludono l’elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia ma costituiscono, a volte, uno dei più pericolosi moventi della speciale ipotesi delittuosa (v., con riferimento allo stato di nervosismo ed alla gelosia: Sez. 6, n. 9694 del 07/04/1982 – dep. 21/10/1982, Zenoni, Rv. 155717; con riferimento alla gelosia: Sez. 2, n. 357 del 07/03/1966 Ud. – dep. 17/08/1966, Ferrara, Rv. 102353).
5.2. Quanto alla questione relativa alla valutazione di attendibilità della p.o., oggetto del secondo motivo di ricorso, lo stesso si risolve in una censura puramente contestativa in ordine alle ragioni del giudizio di attendibilità, svolgendo in sostanza il ricorrente valutazioni di tipo presuntivo – probabilistico circa i reali motivi che sarebbero state sottese alla denuncia della donna.
Va qui ricordato che in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 – dep. 19/02/2015, Cammarota e altro, Rv. 262575), circostanza da escludersi nel caso di specie.
Ne discende che è inammissibile il motivo di ricorso che richiede al giudice di legittimità di rivalutare gli atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perchè lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge.
5.3. Quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante della minore gravità, oggetto del terzo motivo, trattasi di motivo nuovo non dedotto con l’atto di appello, dunque inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3; in ogni caso, non sarebbe censurabile il mancato esercizio del potere ufficioso della Corte d’appello sul punto, posto che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso il mancato esercizio del potere del giudice d’appello di applicare anche d’ufficio una o più circostanze attenuanti, a norma dell’art. 597 c.p.p., comma 5, quando il riconoscimento delle predette circostanze non abbia formato oggetto di una specifica richiesta nel giudizio di secondo grado (Sez. 7, n. 16746 del 13/01/2015 – dep. 21/04/2015, Ciaccia, Rv. 263361). Ed infatti, l’art. 597 c.p.p., comma 5, pur conferendo al giudice di appello, il potere di riconoscere anche di ufficio l’esistenza di circostanze attenuanti, non obbliga detto giudice di specificare nella motivazione le ragioni del mancato esercizio di tale potere, quando le circostanze in questione non abbiano formato oggetto di apposita richiesta; pertanto tale mancato esercizio non può costituire motivo di ricorso in cassazione (Sez. 6, n. 7960 del 26/01/2004 – dep. 24/02/2004, Calluso, Rv. 228468).
5.4. Quanto, infine, alla censura relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio, osserva il Collegio come, sul primo punto, la Corte motivi approfonditamente e con argomenti scevri da vizi logici in ordine alle ragioni del mancato riconoscimento (v. pag. 4, alla cui lettura integralmente si rinvia per ragioni di economia motivazionale e non essendo del resto richiesto nè imposto a questa Corte di ripercorrere le argomentazioni giustificative dei giudici di merito che imporrebbero alla Corte di legittimità una ricognizione degli elementi di fatto oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito, ciò che fuoriesce dall’ambito cognitivo del giudice di legittimità), donde le deduzioni del ricorrente sono del tutto prive di pregio, alla luce della gravità obiettiva del fatto e della personalità dell’imputato. Non va, del resto, dimenticato che la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010 – dep. 23/11/2010, Straface, Rv.
248737).
In merito, infine, al trattamento sanzionatorio la pena base per il reato di violenza sessuale è stata determinata nel minimo edittale, donde trova applicazione il principio consolidato per cui nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchè è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p.. (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 – dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 256464; v.
anche, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
Non miglior sorte merita la censura relativa all’aumento inflitto a titolo di continuazione, avendo la Corte d’appello chiarito le ragioni sottese agli aumenti di pena previsti per i reati satelliti, aderendo del resto questo Collegio all’orientamento maggioritario, da ritenersi preferibile a quello minoritario nella giurisprudenza di questa Corte (di cui è espressione, da ultimo: Sez. 4, n. 28139 del 23/06/2015 – dep. 02/07/2015, Puggillo, Rv. 264101), secondo cui in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l’obbligo del giudice di indicare specificamente i singoli aumenti sulla pena base, imposti dalla riconosciuta sussistenza di circostanze aggravanti, in quanto la graduazione della pena, ancorchè concernente aumenti e diminuzioni correlati rispettivamente a circostanze aggravanti o attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, come per la determinazione della pena base, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 29829 del 13/03/2015 – dep. 10/07/2015, Pedercini, Rv. 265141).
8. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 11 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2016
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