Guida in stato di ebbrezza: applicazione dalla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
La Quarta Sezione della Corte di cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna emessa ai sensi dell’art. 186 cod. strada nella ritenuta applicabilità della disciplina più favorevole prevista dalla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., sussumendo il fatto nell’ipotesi della particolare tenuità in ragione della motivazione offerta dal giudice di merito, che aveva affermato il “mancato riscontro di una condotta di guida concretamente pericolosa”, valutata unitamente all’applicazione di una pena pari al minimo edittale, nel concorso degli altri presupposti di legge concernenti la pena detentiva astrattamente prevista e la mancanza di abitualità nel comportamento ascritto all’imputato.
Art. 131 bis Cod. Pen.
Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità é esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa é di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. [III]. Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
Cassazione penale, sez. IV, 31 luglio 2015, n. 33821
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 17/10/2014, ha riformato con esclusivo riferimento alla concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale spedito a richiesta di privati la pronuncia emessa il 17/04/2013 dal Tribunale di Forlì, che aveva dichiarato Pasolini Mauro responsabile della contravvenzione di cui all’art. 186, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 perché quale conducente dell’autovettura Audi A4 aveva rifiutato, il 2 luglio 2010, di sottoporsi ad accertamenti volti a verificare la presenza nel sangue di sostanze alcoliche.
2. Mauro Pasolini, premesso che la Corte di Appello non ha posto attenzione alle doglianze sottopostele nell’atto di gravame, censura la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 192, comma 1, cod.proc.pen. -mancanza di motivazione. Il ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto che le deduzioni difensive in merito al comportamento tenuto dagli agenti non scalfissero la prova dichiarativa resa dagli stessi senza indicare quali passaggi motivazionali della sentenza di primo grado confutassero le censure proposte dall’appellante;
b) violazione e falsa applicazione dell’art.186, comma 7, cod. strada, e deH’art.192, comma 1, cod.proc.pen. Secondo il ricorrente, gli elementi ritenuti sintomatici dello stato di ebbrezza che sono stati indicati nella relazione di servizio, in assenza di una condotta di guida concretamente pericolosa, avrebbero potuto trovare altra giustificazione ed erano stati smentiti dagli altri testimoni escussi; per tale ragione il giudice avrebbe dovuto ritenere insussistenti gli elementi necessari per giudicare legittimo l’ordine di sottoporsi all’alcoltest. Nel ricorso si deduce che la motivazione offerta sul punto dalla Corte di Appello sarebbe manifestamente illogica, avendo affermato che non occorre la prova dell’evidenza dello stato di ebbrezza perché la Polizia Giudiziaria possa legittimamente pretendere l’effettuazione del test alcolemico. A fronte della deduzione difensiva concernente la tardività della richiesta della Polizia Giudiziaria, formulata dopo che l’imputato si era allontanato ed era entrato nei suoi uffici, la Corte territoriale ha ritenuto che la questione della tempestività della richiesta avrebbe assunto rilievo ai soli fini dell’attendibilità del test mentre, secondo il ricorrente, il reato contestato non sussiste qualora la persona rifiuti di sottoporsi al test non nell’imminenza della guida né subito dopo di essa;
e) violazione e falsa applicazione degli artt.13,14 e 23 Cost. e dell’art.186 cod. strada – carenza di motivazione. La Corte territoriale, si assume, ha omesso 2 di esaminare la dedotta illegittimità dell’ordine dato dagli Agenti quando nessuno, in base ai principi costituzionali, avrebbe potuto imporgli di uscire dalla propria privata dimora per sottoporsi ad una procedura coatta limitativa della sua libertà personale e della sua autodeterminazione, giustificata solo nell’imminenza della guida;
d) violazione e falsa applicazione dell’art. 186, comma 3, cod. strada -motivazione insufficiente. Il ricorrente deduce che una corretta interpretazione della normativa avrebbe dovuto escludere che la richiesta dell’imputato di effettuare il pre-test nei suoi uffici, nel rispetto della riservatezza, potesse interpretarsi come un rifiuto e che, in ogni caso, il giudice avrebbe dovuto escludere l’elemento psicologico del reato considerando che il rifiuto dell’imputato non era assoluto ma condizionato a comprensibili esigenze di privacy. La motivazione offerta sul punto dalla Corte di Appello, si assume, è illogica, laddove si è ritenuto che il Pasolini avrebbe dovuto aderire senza condizioni all’ordine dato, per la prima volta, quando l’imputato era già rientrato nei locali aziendali. Il giudice di appello avrebbe, peraltro, travisato la prova affermando che l’imputato era rientrato negli uffici dopo la contestazione della sosta irregolare e dello stato di ebbrezza, non essendovi stata alcuna contestazione in tal senso, ed anche affermando che la pretesa del Pasolini di svolgere le prove all’interno degli uffici fosse pretestuosa, non essendovi sul posto il furgone attrezzato al cui interno svolgere le prove;
e) violazione e falsa applicazione dell’art.186, comma 7, cod. strada e dell’art.133 cod. pen. – mancanza di motivazione. Il ricorrente si duole che la Corte di Appello abbia rigettato la censura relativa alla misura della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida con motivazione apparente, non esplicitando quali fossero le modalità del fatto ed il comportamento tenuto dall’imputato né tenendo conto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. per giudicare congruo un periodo di un anno, né replicando alla dedotta illogicità della determinazione della sanzione accessoria in misura non correlata al minimo edittale a fronte dell’applicazione del minimo della pena principale;
f) violazione e falsa applicazione dell’art. 186, comma 7, cod. strada -mancanza di motivazione e travisamento della prova. Il ricorrente si duole che sia stata disposta la confisca di un veicolo non appartenente all’imputato ma a soggetto estraneo al reato, segnatamente alla società cooperativa della quale il Pasolini è legale rappresentante, in difetto della prova che l’imputato avesse un effettivo e concreto dominio sulla cosa per la ripetitività dell’uso di essa. La sentenza è priva di motivazione, secondo il ricorrente, nella parte in cui non ha { confutato la censura inerente alla nozione di appartenenza accolta dalla Corte di 3 Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n.14484/2012, collegata al difetto di prova del diritto di proprietà o di qualsivoglia diritto reale o di garanzia dell’imputato sul bene confiscato.
3. Con memoria depositata il 27 maggio 2015 il difensore del ricorrente ha sollecitato il Collegio a qualificare il fatto di particolare tenuità ed applicare, conseguentemente, la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., introdotta con d.lgs. 16 marzo 2015, n.28.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi quattro motivi di ricorso sono infondati.
2. È necessario, in primo luogo, richiamare quanto si legge nel provvedimento impugnato a proposito dell’esaustività della motivazione fornita dal giudice di primo grado con riferimento a questioni riproposte nell’atto di appello. Costituisce, infatti, orientamento interpretativo consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità che, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, sia ammissibile la motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione di primo grado, sempre che le censure formulate contro la prima sentenza non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nel controllare la fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Albergamo, Rv. 197250). Nel caso in esame, la Corte territoriale non ha, peraltro, proceduto ad un mero rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado ma, valutando il materiale istruttorio, ha esaminato gli specifici rilievi sollevati con i motivi d’impugnazione contro la sentenza medesima.
3. In particolare, la Corte territoriale ha analizzato, sottoponendole a vaglio critico, le deduzioni critiche dell’appellante concernenti la sussumibilità nella astratta fattispecie di reato disciplinata dall’art.186, comma 7, cod. strada del rifiuto di sottoporsi al test sulla pubblica via, ma non in un luogo di privata dimora, l’assenza di evidenza dello stato di ebbrezza, la tardività dell’invito degli organi di Polizia stradale a sottoporsi al test.
3.1. La Corte territoriale ha, in proposito, confermato la condotta di rifiuto opposta dall’imputato, non ritenendo sussistere differenza tra un rifiuto radicale e la pretesa che l’accertamento venga effettuato nei locali dell’azienda ivi adiacente, rigettando come infondato l’assunto per cui sarebbe mancata l’evidenza dello stato di ebbrezza. Si tratta di corretta qualificazione giuridica del fatto, neppure essendo previsto che la condotta tipica del reato si debba concretare in un rifiuto verbale. Giova, in proposito, ricordare che nella giurisprudenza della Corte di legittimità è stata ritenuta sussumibile nella fattispecie astratta disciplinata dall’art. 186, comma 7, cod. strada anche la condotta ammissiva dello stato di ebbrezza, indirettamente espressiva del rifiuto di sottoporsi all’accertamento (Sez. 4, n.5409 del 27/01/2015, Avondo, Rv. 262162; Sez.4, n.36566 del 18/09/2006, Baruffaldi, Rv. 235371; Sez.4, n.3444 del 12/11/2003, dep. 2004, Simoncelli, Rv. 229784). A ciò deve aggiungersi che la condotta tipica del reato contestato si sostanzia nella manifestazione di indisponibilità da parte dell’agente a sottoporsi all’accertamento alcolimetrico (Sez. 4, n. 5909 del 08/01/2013, Giacone, Rv.
254792) e si distingue nettamente dalla condotta costitutiva del reato di guida in stato di ebbrezza, rispetto al cui accertamento si può atteggiare, ancorché non strutturalmente, in termini di reciproca alternatività allorché l’attività istruttoria espletata non consenta di desumere aliunde lo stato di alterazione psico-fisica penalmente rilevante del guidatore.
3.2. La motivazione della sentenza impugnata è, peraltro, esente da manifesta illogicità laddove ha escluso che l’invito a sottoporsi al test fosse tardivo, osservando come la natura di reato istantaneo del reato evidenziata dalla stessa difesa rendesse evidente la pretestuosità degli argomenti addotti dall’imputato, rifiugiatosi nei locali della sua impresa dopo la contestazione della sosta irregolare e dello stato di ebbrezza, per eludere l’ordine legittimamente impartitogli.
3.3. È, inoltre, ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un’esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti né a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorché non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l’omesso esame critico di ogni questione sottoposta all’attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez.2, n.9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv.254988; Sez.6, n.49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.254107; Sez.4, n.34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.253512; Sez.4, n.45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv.241907).
4. Gli ulteriori argomenti sviluppati dal difensore dell’imputato, basati su una ricostruzione alternativa del fatto, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti che riguardano l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito, già adeguatamente valutati sia in primo che in secondo grado. Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza della Corte di Cassazione affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare Viter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti, «non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento». I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. f 1 con la ricordata novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico (realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una pronuncia di condanna). Si è peraltro più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Sez. 5, n.8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è da ultimo precisato che esso non ha comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello» (Sez.5, n.10411 del 28/01/2013, Viola, Rv.254579).
5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato. È sufficiente richiamare quanto indicato a pag.7 a proposito delle ragioni che hanno indotto la Corte di Appello a reputare congruo il periodo di sospensione della patente di guida determinato dal giudice di primo grado.
6. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile perché proposto da soggetto carente d’interesse.
6.1. Hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che l’interesse richiesto dall’art.568, comma 4, cod.proc.pen. quale condizione d’ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente. Occorre, cioè, che il provvedimento del giudice sia idoneo a produrre una lesione della sfera giuridica dell’impugnante e che l’eliminazione o la riforma della decisione gravata renda possibile il 7 conseguimento di un risultato a lui giuridicamente favorevole (Sez. U, n.42 del 13/12/1995, Timpani, RV. 203093; Sez.3, n.24272 del 24/03/2010, Abagnale, Rv. 247685; Sez.l, n.36038 dei 21/09/2005, Kibak, Rv.232254; Sez.6, n.26012 del 27/04/2004, Manghisi, Rv. 229977; Sez.6, n.2158 del 15/06/1998, Mazzesi, Rv.212233).
6.2. Nel caso in esame deve rilevarsi che, in base a quanto emerge dallo stesso ricorso, il veicolo condotto dall’imputato all’atto del controllo era di proprietà della Cons. Coop., di cui l’imputato era legale rappresentante.
6.3. Oltre a richiamare la possibilità per il terzo proprietario del bene confiscato di far valere il diritto alla restituzione mediante incidente di esecuzione (Sez. 1, n. 47312 del 11/11/2011, Lazzoi, Rv. 251415), si deve qui in ogni caso sottolineare che la confisca del veicolo disposta con il provvedimento impugnato riguarda un bene non appartenente al ricorrente e che, pertanto, la sua sfera giuridica non è stata lesa, donde l’insussistenza dell’interesse a impugnare (Sez. 3, n.25493 del 22/04/2009, Petrosillo).
7. Con motivi aggiunti tempestivamente depositati il ricorrente ha formulato, in subordine rispetto ai motivi concernenti la responsabilità, istanza di applicazione della causa di esclusione della punibilità introdotta dall’art. 1 d. Igs. 16 marzo 2015, n.28, che ha inserito nel codice penale l’art.131 bis.
7.1. L’istanza è ammissibile in quanto il ricorrente ha enunciato specificamente gli elementi dai quali si debba desumere la particolare tenuità del fatto e, in particolare, i seguenti: a) si tratta di contravvenzione punita con pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni, oltre alla pena pecuniaria; b) il comportamento addebitato all’imputato non risulta abituale; e) la minima offensività del fatto è stata ritenuta dal giudice di primo grado, che ha determinato la pena nel minimo edittale, ha applicato le attenuanti generiche e convertito la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria sia in ragione dell’incensuratezza dell’imputato sia in ragione del (Sez.5, n.20994 del 17/04/2015, Losi; Sez.5, n.20986 del 17/04/2015).
7.2. Il testo della norma dispone quanto segue:.
7.3. Si tratta di norma applicabile ai processi non definiti con sentenza passata in giudicato in quanto più favorevole al reo, in base al principio di legalità penale enunciato dall’art.7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), così come interpretato dalla giurisprudenza di Strasburgo, nella prospettiva della più completa tutela dei diritti fondamentali della persona. I principi di matrice pattizia fungono, infatti, al contempo, da parametri del giudizio di legittimità costituzionale delle norme interne (Corte Cost. nn.348 e 349 del 2007; Sez. U civili nn. 1338, 1339, 1340 e 1341 del 2004; Sez. 1 penale, n. 35616 del 22/09/2005, Cat Berrò, Rv. 232115; Sez. 1, n. 32678 del 12/07/2006, Somogyi, Rv. 235036; Sez. 1, n. 2800 del 01/12/2006, dep. 2007, Dorigo, Rv. 235447) e da criteri ermeneutici ai quali il giudice di merito deve informare l’interpretazione del diritto interno. Spetta, dunque, al giudice di merito il compito ermeneutico della norma nazionale, sperimentando una interpretazione che sia conforme alla disposizione conferente della CEDU così come interpretata dalla Corte di Strasburgo (Corte Cost. n. 311 del 26/11/2009).
7.4. E l’esame della giurisprudenza sovranazionale ha portato la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 230 del 23/05/2012) a riscontrare come . La richiamata norma, apparentemente “debole” e scarsamente “incisiva” rispetto ai connotati degli ordinamenti penali continentali (riserva di legge, irretroattività, determinatezza, divieto di analogia), presenta, in realtà, contenuti particolarmente qualificanti, resi progressivamente espliciti dalla giurisprudenza della Corte Europea, che ha esteso la portata della disposizione, includendovi il principio di determinatezza delle norme penali, il divieto di analogia in malam partem (Corte EDU 22/06/2000, Coeme e altri e/ Belgio) e, più recentemente, il principio implicito della retroattività della legge meno severa (Grande Chambre 17/9/2009, Scoppola e/ Italia), enucleando dal sistema della Convenzione un concetto di , in forza del quale possono raggiungersi livelli garantistici, per certi aspetti, più elevati di quelli offerti dall’art. 25 Cost. (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651). Con una recente pronuncia, peraltro, la Consulta ha ribadito che l’applicazione retroattiva della disposizione penale più favorevole costituisce espressione del principio di eguaglianza, ferma restando l’intangibilità del giudicato (Corte Cost. n. 230/2012).
7.5. Il Collegio ritiene, pertanto, che nel caso concreto s’imponga l’annullamento della decisione impugnata in ragione della sopravvenuta disciplina più favorevole. La motivazione offerta dal giudice di merito, che ha affermato II «mancato riscontro di una condotta di guida concretamente pericolosa;»-, valutata unitamente all’applicazione della pena in misura pari al minimo edittale, nel concorso degli altri presupposti di legge concernenti la pena edittale e l’abitualità, rappresentano indici significativi, nel senso della possibile sussunzione del fatto nell’ipotesi di particolare tenuità, che dovranno essere valutati dal giudice del rinvio.
8. Conclusivamente, rigettato il ricorso nel resto, la sentenza va annullata limitatamente alla verifica delle condizioni di applicabilità dell’art.131 bis cod. pen., con rinvio alla Corte di Appello di Bologna per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’articolo 131 bis cod. pen., con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna; rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in data 1/07/2015
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